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NEWSLETTER n° 51 - 4 luglio 2018

  • DEPRESSIONE. La cura è nell'anima - Lisa Ginzburg
  • LECTIO DIVINA - Domenica 8 Luglio 2018 - XIV T.O. / B

DEPRESSIONE

La cura è nell'anima

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In un mondo in cui narcisismo e competizione si associano sempre più a sconforto e paure si può scoprire che già Socrate e Platone fornivano le giuste risposte.

Negli ultimi dieci anni i casi di depressione sono aumentati in modo vertiginoso. Diffidenza, competizione, angoscia, ci rendono l’un l’altro sempre meno vicini. Dilaga un narcisismo nevrotico, con scambi virtuali che simulano intimità, di fatto evitandola e fuggendola come la peste. Domina una sostanziale paura di se stessi, con tendenze a continui auto-nascondimenti. Siamo (la maggior parte di noi) le nostre maschere, vittime di un’inautenticità che conduce a crescente solitudine.
Un quadro antropologico davvero scoraggiante, e certo non confortato da un avvenire dove il malessere psichico sembra profilarsi come l’orizzonte che più saprà contenerci, dandoci (in negativo) dei limiti. Fotografandolo con accorata limpidezza Pietro Del Soldà racconta di questo strano deserto. Lo fa in un libro (Non solo di cose d’amore. Noi, Socrate e la ricerca della felicità) che si legge con fluida rapidità, sebbene affronti temi gravi e immensi, quali la solitudine cui ci sta consegnando questa frenesia di continua affermazione, smania di riconoscimento di fatto coincidente con una totale assenza di interazione con gli altri.

Socrate ci interpella, quando argomenta come sia nella conoscenza di sé la vera cura. Dice molto dell’oggi, quando spiega come nell'intimo contatto con se stessi si riassuma il più limpido antidoto al caos del finto mettersi in mostra, finto instaurare finte relazioni. E in un tessuto di confronti che non sono tra persone, ma tra maschere, tra esseri apparenti come apparente è chiunque si sottrae alla propria verità, ecco dai personaggi dei dialoghi di Platone giungerci i suggerimenti più attendibili. Conoscendo noi stessi, incontriamo il prossimo. E viceversa, troviamo noi stessi incontrando gli altri («quel rispecchiamento reciproco delle pupille dell’anima, in cui consiste la conoscenza di sé»). Perché l’incontro, quello vero, scalza tutti gli ostacoli conoscitivi in cui fatalmente incappa l’ipertrofia dell’io. Sino all'incontro d’amore, scintilla dettata da Eros e che infonde autenticità e potenza a ogni gesto, parola, pensiero, snebbiando da un’infelicità che è rapporto sfalsato col tempo.

Non pensare ininterrottamente a se stessi e a come si appare, ma coltivare solidarietà, ascolto, empatia. Concentrarsi anziché solo su noi stessi, su quanto siamo vicini, contigui, interconnessi. Aprirsi, mescolarsi, tornare a parlare. Per farlo, leggere e studiare quel pensiero che si interrogava su cosa sia l’anima, e cosa quel che meglio sa curarla e mantenerla in salute. Tornare a quelle domande, è cercare soluzioni per evitare la deriva caotica che ci minaccia, troppo e troppo da vicino.

LISA GINZBURG, Avvenire, 16 giugno 2018

LECTIO DIVINA

Domenica 8 Luglio 2018 - XIV T.O. / B
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Ez 2,2-5; Sal 122(123); 2 Cor 12, 7-10; Mc 6,1-6



La liturgia di questa XIV Domenica del Tempo Ordinario ci manifesta la durezza di cuore e la ribellione nei confronti del profeta che parla in nome di Dio. Questo stesso rifiuto non ha risparmiato Gesù che non può operare nessun miracolo per lo scetticismo e l’incredulità dei suoi concittadini.
Chi è il Profeta oggi? E’ colui che, mandato da Dio a parlare in suo nome, è disposto come Gesù a pagare di persona. Affermava don Primo Mazzolari: "Quando non si guadagna niente altro che la sofferenza, quando si paga solo di persona, la strada è quella giusta".
Papa Francesco, scrivendo alle contemplative, descrive il profeta come colui che è chiamato a scoprire i segni della presenza di Dio nella vita quotidiana, a diventare interlocutore sapiente che sa riconoscere le domande che Dio e l’umanità pone oggi (cfr. VDq 2).

Testo e commento alle letture

Dal libro del profeta Ezechiele (Ez 2, 2-5)

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”.
Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

Nella prima lettura capiamo chi sia il profeta attraverso il racconto che Ezechiele fa della sua missione. Dio lo chiama sei anni prima della distruzione di Gerusalemme (593 a.C.), perché egli dovrà dire in nome di Dio: "a quella genia di ribelli" che essi si sono rivoltati non contro il profeta, ma contro Dio stesso.
Il profeta, è dunque un uomo che dà scandalo nella terra in cui predica, se per scandalo si intende lo smascherare l'ipocrisia, il coraggio di levare la voce in nome della giustizia, la forza di mettere in crisi l'ordine precostituito. Il Profeta, come ripete Papa Francesco, è la persona capace di porsi come 'sentinella' per scrutare i segni dei tempi e cogliervi così la rivelazione di Dio.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2 Cor 12, 7-10)

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

Nell'esperienza umana di Paolo di Tarso la 'profezia' si incrocia con la debolezza. Scrivendo alla comunità di Corinto rivela come la fragilità accompagni il suo apostolato, la 'spina nella carne' per la quale egli prega il Signore 'per ben tre volte'.
Egli poi giunge a dire che nell'accoglienza della propria infermità il cristiano trova la via privilegiata nella quale si manifesta la 'forza' del Signore. Infatti, proprio nell'umiliazione, Paolo scopre il dono della grazia di Cristo.
Questo lo rende capace di 'compiacersi' non della grandezza delle rivelazioni, ma della caducità della sua umanità scelta da Cristo per la diffusione del suo Vangelo.

Testo e commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 1-6)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Il Vangelo di questa XIV domenica ci fa fissare lo sguardo sul rifiuto di cui Gesù fa esperienza nella 'sua patria'.
Leggiamo infatti nel prologo di Giovanni: "Venne tra i suoi e i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11). Davvero come dice Gesù a Pietro: "né carne né sangue" ma soltanto il Padre può rivelare chi è Gesù. Se mai, la prossimità e la familiarità quotidiana sono piuttosto un ostacolo a comprendere ciò che di straordinario si manifesta in lui come segno che Dio l'ha scelto per essere profeta e messia.
Gli abitanti di Nazareth si bloccano purtroppo davanti al carattere ordinario della sua presenza: non è così che essi immaginano un inviato di Dio; pensano che un profeta debba avere i tratti della straordinarietà e del prodigioso, e che i suoi tratti debbano essere quelli della forza e della potenza umana.
Gli riconoscono sì una notevole sapienza e una rilevante capacità taumaturgica, ma la vera questione è che essi non possono accettare che egli parli con autorità sulla loro vita e sui loro comportamenti. Ecco perché la meraviglia si trasforma subito in scandalo. "Fu per loro motivo di scandalo", aggiunge l'evangelista. E quel che sembrava un trionfo divenne un totale fallimento.
Questo è lo scandalo dell'incarnazione: Dio agisce attraverso l'uomo, con tutta la pochezza e la debolezza della carne; Dio non si serve di gente fuori dal comune, ma di persone qualsiasi; non si presenta con prodigi o parole stravaganti, bensì con la semplice parola evangelica e con i gesti concreti della carità. Il Vangelo predicato e la carità vissuta sono i segni ordinari della straordinaria presenza di Dio nella storia. Sappiamo bene tutti quanto poco sia accolta dalla mentalità comune (di cui tutti siamo figli) questa logica evangelica.
Gli uomini di Dio, i profeti, lo sanno bene. Anch'essi, come Gesù, devono spesso constatare il fallimento della loro parola. Tuttavia, Dio è fedele, sempre. La Parola non tace, e il Vangelo sarà sempre predicato. Chi lo accoglie e lo mette in pratica salva la sua vita.
Questo è il miracolo: la risposta di Dio a colui che tendendo la mano chiede aiuto e riconosce così in Gesù il Signore della propria vita.

Commento patristico

"Fratelli miei, ho grande amore per voi e giulivo cerco di rafforzarvi. Non io ma Gesù Cristo, nel quale incatenato ho ancora molto timore, perché sono ancora imperfetto. Ma la vostra preghiera in Dio mi perfezionerà per raggiungere misericordiosamente l'eredità, rifugiandomi nel vangelo come nella carne di Gesù e negli apostoli, come nel presbiterato della Chiesa. Amiamo i profeti perché anch'essi annunziarono il vangelo e sperarono in lui e lo attesero, e credendo in lui furono salvi. Essi uniti a Gesù Cristo, santi degni di amore e di ammirazione, hanno ricevuto la testimonianza di Gesù Cristo e sono stati annoverati nel vangelo della comune speranza" (Lettera di sant'Ignazio di Antiochia ai cristiani di Filadelfia).

Commento francescano

Francesco a volte rimaneva così sospeso dall'eccesso della contemplazione, che, rapito fuori di sé e fuori dei sensi umani, non si accorgeva di quanto avveniva intorno a lui. E poiché lo spirito dell'uomo attraverso la solitudine si raccoglie sulle cose più intime e l'amplesso dello Sposo è nemico degli sguardi delle folle, perciò, cercando luoghi solitari, si recava nelle chiesette abbandonate per pregarvi la notte. Là, pur sostenendo terribili lotte da parte dei demoni, che combattevano contro di lui corpo a corpo nel tentativo di impedirgli di applicarsi all'orazione, tuttavia, trionfando di loro meravigliosamente, rimaneva solitario e in pace. Allora riempiva le selve di gemiti. Alcune volte i frati che l'osservavano, lo sentivano intercedere con alti clamori presso Dio per i peccatori e piangere ad alta voce, come vedesse davanti a sé la passione del Signore. Là venivano aperti davanti a lui gli arcani segreti della sapienza di Dio. Là apprese quelle cose che scrisse nella Regola e nel suo santissimo Testamento e quanto comandò ai frati perché l'osservassero. Infatti, come è certissimamente evidente, I'instancabile applicazione all'orazione, unita al continuo esercizio delle virtù, condusse l'uomo di Dio a tanta serenità di mente che, sebbene non fosse perito per dottrina nelle sacre Scritture, tuttavia, irradiato dai fulgori dell'eterna luce, penetrava con mirabile acutezza le verità più profonde della Scrittura. Là ottenne dal Signore un luminoso spirito di profezia, per il quale ai suoi giorni predisse molte cose future che si compirono a puntino secondo la sua parola, come viene illustrato attraverso molte prove nella sua leggenda (L’Albero della vita crocifissa di Gesù, Ubertino da Casale – FF 2087).

Orazione conclusiva

O Padre, togli il velo dai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell'umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione. Per il nostro Signore. Amen.
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