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NEWSLETTER n° 50 - 27 giugno 2018

  • LA FEDE - Spunti di riflessione
  • LECTIO DIVINA - Domenica 1 Luglio 2018 - XIII T.O. / B

LA FEDE

Virtù_Teologali
Leggiamo nel catechismo della Chiesa cattolica: "con la fede l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente". Essa è in pratica il nostro dire sì a Dio che si rivela e ci parla. Avere fede consiste in un atto decisivo, fondamentale, con il quale ognuno accoglie, accetta la rivelazione del disegno salvifico in Cristo Gesù, morto e risorto, che ci dona lo Spirito.
Ancora dal CCC 1814: "la fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato e che la santa Chiesa ci propone di credere, perché egli è la stesa verità".

Per un credente la fede è il bene sommo, senza di essa siamo quasi come morti. Alle volte si sente dire: "basta la salute"; in realtà potremmo dire che dalla bocca di un cristiano l'affermazione dovrebbe essere: "basta la fede". Essa è fondamentale perché altrimenti non possiamo conoscere Dio, unico bene necessario dell'esistenza. In virtù di questa unione essenziale con il Signore, ogni azione morale compiuta durante la giornata si muove, o dovrebbe muoversi per un credente, nell'alveo della fede in Dio. Da essa nasce la preghiera e l'agire.

Perché credere?
Innanzitutto perché Dio è verità infallibile. Noi siamo normalmente inclini a mettere in dubbio le verità rivelate, ma se ci pensiamo questo mostra di frequenza una mancanza di fede e perciò un non credere che Dio è verità assoluta.
Dobbiamo altresì credere perché questo è l'atto supremo con cui possiamo prenderci cura del nostro cuore inteso come centro dell'esistenza. Credere è dare fiducia alla Parola che si prende cura di noi e porta a completezza la nostra esistenza.
Credere è allora anche una responsabilità perché ci spinge a prendersi cura degli altri annunciando il Vangelo della vita.

Quali le difficoltà del credere?
Interessante riflettere sul fatto che malgrado si possa tranquillamente dire che la fede e il credere sono i beni sommi della vita, si faccia così tanta fatica a dare credito a ciò che Dio ci dice rivelandosi in Gesù. Le ragioni del non credere possono essere molteplici:
  • Intanto la nostra intelligenza, per l'indipendenza che Dio le ha donato, può mettere in discussione l'esistenza dell'Altissimo e la ragionevolezza del credere. In questo caso, per combattere questo tipo di difficoltà si può studiare, tentare di capire, con pazienza le verità di fede rivelate. Per questo è così importante leggere, studiare, meditare e pregare la Scrittura perché essa ci rivela Dio;
  • I nostri sentimenti. Alle volte il nostro credere è condotto dai sentimenti, per cui l'esperienza di fede è vera se 'sento' qualcosa. Ci dovremmo chiedere...cosa è il silenzio di Dio e perché ogni tanto permette il deserto e l'aridità (purificazione del vissuto, radicalizzazione della sequela...). Per resistere occorre molta perseveranza, pazienza, sapienza.
  • Altra difficoltà può essere data da un uso scorretto della volontà, quando scelgo, liberamente, di non seguire i comandamenti; o quando mi determino a dare ascolto a tutte le possibili obiezioni alla fede senza approfondire in maniera responsabile la Scrittura e le verità rivelate.
Facciamo nostra la bellissima preghiera di Charles de Foucauld:

Padre mio, io mi abbandono a te,
fa di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le creature.
Non desidero altro mio Dio.
Affido l'anima mia nelle tue mani:
te la dono, mio Dio,
con tutto l'amore del mio cuore perché ti amo.
Ed è un bisogno del mio amore il donarmi,
il pormi nelle tue mani senza riserve con infinita fiducia,
perché tu sei mio Padre.

LECTIO DIVINA

Domenica 1 Luglio 2018 - XIII T.O. / B
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Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29 (30); 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43



Il tema che oggi la Liturgia ci offre l'occasione di meditare è uno di quelli che toccano ‘l'ordinario della nostra vita’: la morte. È anche uno di quelli che più turba e interroga l'uomo di tutti i tempi. Eppure un santo tra i più amati della storia, Francesco d'Assisi, ha riconosciuto perfino la morte come «sorella» (cf. 2Cel 217: FF809).

Testo e commento alle Letture

Dal libro della Sapienza (Sap 1,13-15; 2,23-24)

Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c'è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.

Il brano tratto dal Libro della sapienza ci dice che la morte non è una creatura di Dio, il quale piuttosto «ha creato l'uomo per l'incorruttibilità» (v 23), mentre è «per l'invidia del diavolo [che] la morte è entrata nel mondo» (v 24). Cosa vuol dire?
Il sapiente non sta parlando della morte fisica, ma della morte spirituale: la «seconda morte», dalla quale - dirà l'Apostolo Giovanni - «il vincitore non sarà colpito» (Ap 2,11). All'autore del Libro della Sapienza sembra non interessare il destino del corpo, quanto l'immortalità beata. Per lui, l'uomo - per via delle sue origini creaturali - non può non sperimentare la morte fisica; ma non è questo importante, quanto «l'eterna esistenza con Dio» (Addison G. Wright) a cui si può giungere attraverso una vita "bella", una vita retta e virtuosa, un cuore disponibile sul quale Dio possa "scrivere" liberamente.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2Cor 8,7.9.13-15)

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest'opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».

A prima vista può sembrare stonato l'inserimento di questo brano paolino tra la prima Lettura e il Vangelo di oggi, e subito dopo quel Salmo responsoriale che pure ci parla di una morte che apre alla vita cambiando «il lamento in danza» (Sal 29,12). Ci si può chiedere però se la seconda Lettura non ci voglia svelare in realtà la ricetta appunto per trasformare in vita quella morte che tanti - senza essere fisicamente morti - già sperimentano.
Se «Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà», proprio per questo ora possediamo una tale «abbondanza» da poter soccorrere chi ha «di meno» (v. 15). Se Paolo chiedeva ai condiscepoli un aiuto materiale in favore dei fratelli più poveri materialmente, questa e maggiore generosità è chiesta a noi oggi, anche verso chi "muore" per la non-conoscenza dell'amore che Dio ha per lui. Annunciando che il Crocifisso è risorto.

Testo e commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 5,21-43)

In quel tempo,
essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Nel brano evangelico si intrecciano le storie di due figure femminili: la prima è una donna matura, che da «dodici anni» soffre di «perdite di sangue»; l'altra, una «fanciulla» proprio di «dodici anni». Nessuna delle due si arrende a lasciarsi sfuggire quella vita che il sangue rappresenta. L'emorroissa si avvicina da se a Gesù - quasi riconoscendolo così come fonte della vita - e ne tocca «il mantello». la seconda, grazie all'intervento del padre, è visitata da Gesù stesso al suo letto, dove già «è morta» (v. 35). O, meglio, - dice Gesù - «non è morta, ma dorme» (v. 39).
Nelle parole del Signore: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (v. 41), riconosciamo quella che veramente è la volontà di quell'unico Dio onnipotente e buono che attraverso il profeta ha detto: «Io non godo della morte di chi muore. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e vivrete» (Ez 18,32). E riconosciamo non di meno l'annuncio della vita nuova ed eterna che inaugurerà il Cristo con la sua risurrezione. Come quelle donne, anche noi cristiani per la nostra fede non ci arrendiamo a una cultura di morte. Scegliamo la vita. E lo facciamo realmente quando siamo pronti a difendere ogni vita, con la dignità che porta in se quale tesoro inviolabile. Ogni vita sana o malata; piccola, o addirittura ancora invisibile, nascosta nel grembo materno, o così carica d'anni da essere ritenuta da qualcuno ormai inutile; familiare o straniera; cara o nemica. Ogni vita è vita e ogni uomo è fratello. La speranza in Gesù ci proibisce di lasciarci paralizzare dall'istintiva paura che la morte sembra suscitare. «Perché c'è la morte, con il dolore che solitamente porta con sé?». Chi crede, accetta di non tenere tutto sotto controllo, accetta che ci siano cose che sfuggono alle proprie capacità di comprensione, tra cui il grande mistero della morte. E, sostenuto dalla grazia, preferisce collaborare perché "la vita viva", cioè perché ci sia una vita il più possibile degna per tutti.

Commento patristico

Siccome l’Apostolo ha insegnato che chi lascerà̀ questo corpo si troverà̀, se meritevole, con Cristo, consideriamo cosa sia la morte e cosa sia la vita. La morte è una separazione dell’anima dal corpo, e in un certo senso una scissione dell’uomo. Come ci dipartiamo da questo mondo veniamo sciolti dal nesso tra l’anima e il corpo.
Non vi è infatti perfetta lode prima della morte, né uno può essere oggetto di un encomio definitivo in questa vita, essendogli incerta la sorte futura. La morte dunque è lo svincolarsi dell’anima dal corpo, e, come è nell’insegnamento dell’Apostolo, «è meglio essere liberati ed essere con Cristo» (Fil 1,25). Ma cos’è questa «liberazione» se non il riposo e la dissoluzione del corpo, nonché́ la conversione dell’anima nella sua quiete e nella libertà, dal momento che se essa è pia sarà̀ con Cristo? (Sant’Ambrogio, "De bono mortis" ).

Commento francescano

C'è un inno della Liturgia delle Ore che canta: «Pace fra cielo e terra, pace fra tutti gli uomini, pace nei nostri cuori». Ora, Francesco di Assisi è un uomo che, per la fede in Cristo Gesù, ha fatto pace con tutte le creature, anche con "colei" che ancora S. Paolo chiamava «ultima nemica» (1Cor 15,26): la morte corporale. E la chiama «sorella», perché non è da temere come la «seconda morte» (Ap 2,11), l'unica che potrebbe separarci dall'amore di Dio.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
(Cantico di frate Sole 27-31: FF 263)

Orazione finale

Intona il canto, o Dio della vita, insegnaci i passi di quella danza che è l'esistenza. Tu che ci hai arricchito con la tua povertà, allarga anche le nostre braccia: siano accoglienti verso ognuno che sia "altro" da noi, perché mai più alcuno soffra l'indigenza di non sentirsi amato, di non sentirsi voluto, di non sentirsi chiamato alla vita. Amen.
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