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NEWSLETTER n° 56 - 23 agosto 2018

  • IL SILENZIO -Vittorio Luigi Castellazzi
  • LECTIO DIVINA - 26 Agosto 2018 - XXI Domenica T.O. / B

IL SILENZIO

silenzio
Il silenzio è un bene prezioso. E’ d’importanza cruciale per la sopravvivenza della nostra civiltà.
Nel passato il silenzio è stato visto e cercato prevalentemente sul versante del sacro. Era considerato la via privilegiata per aprirsi all’incontro con Dio. Con l’avvento dell’era industriale e il conseguente ingresso in un tipo di civiltà che tra le sue caratteristiche annovera anche quella dei rumori balza in primo piano la necessità di coltivare anche un silenzio laico. Un silenzio che aiuta a ritrovare se stessi e gli altri.
Si insiste tanto sulla libertà di parola, ma non sempre ci si rende conto che ci manca la libertà di stare in silenzio. L’uomo ha bisogno di impregnarsi di silenzio. E’ dal silenzio che attinge la sua linfa vitale. Ci si struttura non solo attraverso la parola, ma anche con il silenzio. «Nel silenzio, scrive Rilke, mi sento fiorire».
Purtroppo, il silenzio manca nelle nostre stesse case. Costruiamo ambienti insonorizzati, installiamo serramenti con doppio e triplo vetro e poi ci rinchiudiamo dentro con lo stereo e la televisione a tutto volume. Un comportamento, questo, che in ultima analisi sembra rivelare non tanto l’insopportabilità del rumore quanto invece la paura del silenzio.
E così, paradossalmente, combattiamo il rumore che non vogliamo sentire con altri rumori. All’aggressività acustica reagiamo con altrettanta rumorosità che fatalmente finisce per trasformarsi in un auto danneggiamento.
L’esposizione al rumore è una delle nuove dipendenze con cui oggi dobbiamo fare i conti.
E’ indubbio che il silenzio a nostra disposizione è sempre meno. Ci sentiamo un po’ tutti defraudati. Per questo motivo, come scrive Paquot, sta diventando uno dei tre lussi esclusivi della nostra epoca. Gli altri due sono il tempo e lo spazio.
Sommersi come siamo da parole spesso inutili, inautentiche, amorfe, opache, usurate, vuote, stanche, è urgente scoprire il valore del silenzio. La parola ha peso ed è efficace solo se nasce dal silenzio. Esistono silenzi che comunicano di più di una parola urlata.
Del resto, sappiamo che per le realtà più profonde della nostra esistenza il linguaggio verbale non serve. Pur essendo antitetico alla parola, il silenzio non è tuttavia alternativo ad essa. In un individuo maturo ci deve essere posto per la parola come per il silenzio. Sono entrambi due momenti significativi dell’esistenza. «La giusta parola, annota Bonhoeffer, nasce dal silenzio, come il giusto silenzio nasce dalla parola».
L’approdo al silenzio è fondamentale. Cercare spazi e tempi per il silenzio è una necessità. Una vita senza silenzio è una vita senza scampo. Confucio soleva dire che il silenzio è l’amico che non tradisce mai. A sua volta, Bernanos fa dire al protagonista de Il diario di un curato di campagna: «Conservare il silenzio, che strana espressione! E’ il silenzio che conserva noi».
Ma il silenzio autentico non è soltanto assenza di rumori esterni. E’ relativamente facile sbarazzarsi del frastuono esteriore, ma è arduo mettere a tacere lo strepito interno. Ci può essere un silenzio abitato da pensieri, desideri, emozioni e presenze che agitano, che inquietano, che scuotono e stordiscono l’animo.
Un vero silenzio e, di riflesso, un autentico ascolto interiore è possibile solo se siamo capaci di gestire in modo equilibrato le nostre emozioni, non escluse le nostre ansie e paure. Si compie un genuino incontro con noi stessi solo se siamo allenati ad abitare luoghi psichici in cui raccogliere i nostri pensieri smarriti così da riuscire a dare loro un’organizzazione, un senso, un significato. Solo allora, come scrive Virginia Woolf, possediamo una stanza tutta per noi. Ed è solo a tale condizione che prendiamo coscienza che la vera casa è il nostro mondo interiore.

LECTIO DIVINA

26 Agosto 2018 - XXI Domenica del T. O. / B
viidomenicadopopentecoste
Gs 24,1-2.15-17.18;dal Salmo 33(34);Ef 5, 21-32;Gv 6,60-69;


Nella 21ª domenica del tempo ordinario concludiamo la lettura del lungo capitolo sesto del Vangelo di Giovanni. Anche a noi, lettori attuali, Gesù pone la domanda diretta e provocatoria rivolta ai 12 quando "molti suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui" (v.66): Volete andarvene anche voi?”(v.67). E noi siamo portati a fare nostra, con lo stesso entusiasmo, la risposta ricca di Pietro: "Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (v.68-69).




Testo e Commento alle letture


Dal libro di Giosuè (Gs 24,1-2.15-17.18)

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».
Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».

La domanda che Giosuè pone al popolo d'Israele, quale nuovo responsabile della comunità è chiara: Chi volete servire? Il nostro Dio, che si è manifestato in tanti modi nella nostra vita e nella nostra storia, oppure servire altri dei che non ci appartengono per fede, cultura, tradizione, per modo di essere e pensare la vita religiosa, umana, politica, sociale? Israele nella sua piena coscienza di essere popolo eletto, risponde con decisione e sicurezza: "lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dei!" (v.16). Una risposta che impegna nella fedeltà a Dio e alla sua legge, che impegna nel cammino della fede e che non ammette più indecisioni e dubbi.


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (Ef 5,21-32)

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!

Continuando il discorso del brano precedente Paolo ricorda che l'aver abbracciato la fede cristiana richiede un certo comportamento e un atteggiamento profondo del cuore. C'è un timore di Cristo, un rispetto reverenziale che dà nuovo significato alle relazioni interpersonali. Cristo per primo è stato sottomesso al Padre con una sottomissione volontaria e appassionata di chi si mette a servizio.
Ecco dunque che la sottomissione delle mogli non è in forza di una loro minorità nei confronti dei mariti, bensì espressione di questa imitazione di Cristo. E che il marito fosse il capo della moglie Paolo non ha bisogno di giustificarlo, era la situazione del suo tempo. Però abbiamo qui una spiegazione teologica molto importante. Come il marito, Cristo è il capo della Chiesa. Egli ne è il punto di riferimento e il centro propulsore per la sua crescita e la sua vita. ma Egli ne è anche il Salvatore. "Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!" (v.32). Quindi il progetto di amore sponsale risalente alla creazione dell'uomo è una parabola dell'alleanza salvifica manifestata ora nella nuova creazione. Il matrimonio a sua volta diventa una manifestazione e attuazione storica di questo modello ideale di amore rivelato da Gesù. Il matrimonio acquista significato e valore nell'amore storico e fedele di Cristo.



Testo e Commento al Vangelo


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,60-69)

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Oggi Gesù giunge al cuore della sua catechesi, sul pane di vita, giunge all'apice e fa una grande rivelazione: chi ha fede in Lui, in Gesù, come inviato dal Padre, come messia, non solo crederà in Lui, non solo professerà la fede in Lui, ma si nutrirà di Lui, mangerà il Suo corpo, berrà il Suo sangue.
"Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?" (v.60) Probabilmente ci saremmo scandalizzati anche noi, se non avessimo l'esperienza di Cristo risorto, con il suo vero corpo, risorto.
Tutto il capitolo 6° di Giovanni, di cui ci siamo nutriti in queste ultime domeniche, in modo narrativo, introduce nel cammino della fede. Il lettore tra l'inizio e la fine del racconto, è testimone di un duplice progresso che riguarda l'identità di Gesù e la natura della fede: dal "profeta" (v.14) al "Santo di Dio" (v.69); da una fede fondata sul segno (v. 2.24) a quella fondata sulle sue parole (v. 68). Gesù è il solo personaggio presente a tutte le scene: tutti gli altri esistono solo per la relazione che stabiliscono con lui. Tutto comincia con la riunione di una moltitudine entusiasta di 5000 uomini e si conclude con una delusa dispersione e con la focalizzazione sulla situazione di una sola persona, decisamente ostile (molti discepoli si ritirano e uno lo sta per tradire, versetti finali non riportati nella pericope odierna).
Fede e incredulità esistono, si combattono ma nessuna categoria può pretendere di avere il monopolio di una o dell'altra. Il confine tra luce e tenebra passa nel cuore di ciascuno: il vangelo è sempre destabilizzante, impedendo ogni giudizio sugli altri e su di sé, non concede alcuna possibilità di identificazione rassicurante o confortante. L'adesione a Gesù non è semplicistica: è inaccessibile per colui al quale non è donata (v.65). In questa domenica anche i giudei scompaiono, rimangono solo i discepoli, con i quali le cose funzionano fino a un certo punto, fino a quando, Gesù afferma che seguirlo significa "mangiare la sua carne e bere il suo sangue" per avere la vita eterna. I suoi discepoli non possono accettare una parola così dura e talmente provocatoria da scandalizzare chiunque l'ascolti. Gesù non scende a compromessi anzi rincara la dose dicendo che: "Questo vi scandalizza..." (v. 61-64).
"Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. "(v.66). Da 5000 sono rimasti in 13: Lui e i Dodici, i più fedeli, ai quali si rivolge senza far sconti. Neppure con loro cerca di salvare il salvabile, anzi, sapendo bene che tra di loro ce n'è uno che lo avrebbe tradito, tanto vale anticipare i tempi e gettare la discriminante: "volete andarvene anche voi?" (v.67). Occorre esporsi di persona, occorre una scelta di libertà: occorre, in definitiva, una risposta personale di fronte a Gesù. Che arriva con Simon Pietro, il quale rimane il solo interlocutore a prendere la parola e a dire la sua di fronte al Maestro: 5000 sono stati saziati da Gesù, ma uno solo fa la propria professione di fede... La chiave di lettura sta però nelle parole di Pietro:"Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»" (v.68-69). La vera fede sta nel credere e conoscere... Gesù dilata la vita di fede e il rapporto con Dio ad ogni aspetto della vita umana, perché la vita eterna entra nella storia, e la presenza di Dio è in ogni istante, luogo, situazione di vita umana. Il nostro credere e conoscere è incarnato dentro la storia individuale e collettiva, modificando la storia umana stessa. La Parola di vita eterna dà vita al cuore, dà vita allo spirito e regala eternità alla nostra vita.



Commento Patristico

S. Agostino in un sermone diceva: "Chi è dunque l'avversario? La Parola di Dio. La Parola di Dio è il tuo avversario. Perché è avversario? Perché comanda cose contrarie a quelle che fai tu. La Parola di Dio è avversario. Infatti gli uomini non vogliono fare ciò che vuole la Parola di Dio. E che cosa dirò del fatto che la Parola di Dio è avversario poiché comanda? Temo di essere avversario anch'io di alcuni, perché dico queste cose. Ma a me che importa? Colui che mi atterrisce spingendomi a parlare mi faccia essere tanto coraggioso da non temere le lagnanze degli uomini. Coloro infatti che non vogliono conservarsi fedeli alle loro mogli - e abbondano questi tali - non vorrebbero che dicessi queste cose. Ma, lo vogliano o non lo vogliano, io parlerò. Se non vi esorto a mettervi d'accordo con l'avversario, rimarrò io in lite con lui. Chi comanda a voi di agire, comanda a me di parlare. Come voi, non facendo quanto comanda di fare, siete suoi avversari, così noi rimarremo suoi avversari se non diciamo quanto comanda di dire.
Perciò, dilettissimi fratelli, fedeli di Dio e veri e propri figli della Madre cattolica, nessuno vi inganni con cibi avvelenati, anche se ancora avete bisogno di essere nutriti di latte (cf. 1 Cor 3,2;Eb 5,12-14). Camminate ora con perseveranza nella fede della verità (cf. 2Tess 2,12), perché a tempo determinato e opportuno possiate arrivare alla visione della stessa verità (Cf. Tt 1,1-2). Come dice l'Apostolo: Mentre viviamo nel corpo siamo pellegrini lungi dal Signore; camminiamo infatti nella fede e non nella visione (2Cor 5,6-7). La fede in Cristo conduce alla visione del Padre. Perciò il Signore dice: Nessuno viene al Padre se non per me (Gv 14,6-10)".



Commento francescano

Santa Chiara aveva colto la "durezza" della Parola di vita e nel suo Testamento esorta le sorelle: "Ma poiché stretta è la via e il sentiero, ed angusta la porta per la quale ci si incammina e si entra nella vita, pochi son quelli che la percorrono e vi entrano (cfr. Mt 7,14); e se pure vi sono di quelli che per un poco di tempo vi camminano, pochissimi perseverano in essa. Beati però quelli cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine! (Sal 118,1; Mt 10,22).
E perciò noi, che siamo entrate nella via del Signore, guardiamoci di non abbandonarla mai, per nostra colpa o negligenza o ignoranza. Recheremmo ingiuria a così grande Signore, alla sua Madre vergine, al beato padre nostro Francesco, a tutta la Chiesa trionfante ed anche alla Chiesa di quaggiù. Sta scritto, infatti: Maledetti quelli che si allontanano dai tuoi comandamenti (Sal 118,21).
Per questa ragione, io piego le mie ginocchia davanti al Padre del Signore nostro Gesù Cristo (Ef 3,14), affinché, per i meriti della gloriosa santa vergine Maria sua Madre, del beatissimo padre nostro Francesco e di tutti i santi, lo stesso Signore, che ci ha donato di bene incominciare, ci doni ancora di crescere nel bene e di perseverarvi fino alla fine (cfr. 2Cor 8,6; 1Cor 3,6). Amen".



Orazione finale

Concedici, Signore, di ascoltare, come Pietro, i sussurri dello Spirito e lascia che sulle nostre labbra risuoni soltanto la Verità che proviene da te, l’unica capace di illuminare i nostri passi e di non farci fuggire davanti alle richieste del Vangelo. Amen.


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