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NEWSLETTER n° 36 - 22 marzo 2018

  • NON SONO SOLO CANZONETTE - Anna Pia Viola, ed. Sant'Antonio
  • LECTIO DIVINA - 25 Marzo 2018 - Domenica delle Palme / B

NON SONO SOLO CANZONETTE

DIRE EMOZIONI E VERITA' CON LEGGEREZZA

Anna Pia Viola, ed. Sant'Antonio

Corso Canto Teatro Primo Studio

Interpretazione libera di una canzone di Franco Battiato

E TI VENGO A CERCARE

Cosa ci spinge a dare fiducia ad una persona, ad un amico; cosa ci fa dire di sì ad un invito o ad una nuova proposta di lavoro? Quale bisogno, quale desiderio, ci muove nel cercare la presenza di una persona in particolare? Franco Battiato direbbe che… ti vengo a cercare anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza”. Per capire chi siamo, per cercare di cogliere la nostra natura, la nostra essenza che ci distingue da ogni altra creatura, abbiamo bisogno della presenza, della parola e dello sguardo dell’altro. Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine”. Non è una fantasia della singola persona, il bisogno dettato da una debolezza, una mancanza affettiva e materiale. È un sentire, un sentimento, che appartiene a ciascun uomo in quanto uomo, persona unica ed originale.

DIMENSIONE SPIRITUALE
Nel creato l’uomo sarebbe stato destinato ad un’infinita solitudine se non avesse avuto Dio stesso, il suo Creatore, come compagno della sua vicenda personale, della sua storia. E l’uomo può cercare Dio perché la sua stessa natura è fatta di desiderio dell’altro, del trascendente, del divino. Quando ciascuno di noi alza lo sguardo, del corpo e della mente, verso l’alto, lo sta facendo seguendo la sua essenza che è fatta di una dimensione che chiamiamo ‘spirituale’.

UN LEGAME PROFONDO
Chi è capace di uno sguardo spirituale sente di essere “rapito” nei suoi sogni e nei suoi desideri: “un rapimento mistico e sensuale”. Questa esperienza rivela il legame profondo che ogni uomo ha in sé con il divino; un legame che è rivelato da un desiderio diverso che dimora in te, in me. Un desiderio che mi fa pensare che “dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole gioie quotidiane, fare come un eremita che rinuncia a sé”.

COSE CHE VALGONO
“Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole gioie quotidiane, fare come un eremita che rinuncia a sé”. È la logica evangelica di chi scopre un tesoro in un campo e vende tutto il resto per acquistare quel campo, per vivere in un’altra dimensione. Chi sperimenta la presenza di cose “preziose” non può accontentarsi di cose ”piccole”. Siamo fatti per cose grandi e per questo non ci sembra un controsenso dover fare delle scelte che apparentemente sembrano fallimentari. Rinunciare a sé, infatti, non significa disprezzare la propria storia, sminuire i propri talenti e soffocare i sogni. Tutt’altro! Quando tocchi te stesso in profondità, quando scendi dentro il tuo cuore, là dove non ci sono parole ma solo silenzio, capisci che sei pieno di tante cose, ma solo poche valgono veramente. E solo per quelle poche cose vale la pena vivere e soffrire.

UNA SAPIENZA PIÙ PROFONDA
“Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole
gioie quotidiane, fare come un eremita che rinuncia a sé”.
La stessa cosa si fa con una pianta, una vite che produce frutto. Se vuoi che cresca forte e che porti frutti succosi, devi tagliare i rami piccoli, quei tralci che magari hanno già qualche grappolo, ma che non permetterebbero alla vite di svilupparsi in tutta la sua forza. Rinunciare a qualcosa che in se stessa è buona, non è un controsenso, ma indica di saper agire secondo una sapienza più profonda. Accettare di perdere non è un fallimento, ma rivela una logica più ampia. Ecco perché è fondamentale, essenziale, la rinuncia a sé per vivere relazioni autentiche, con gli altri e con il Signore.

DESIDERIO DI DIO
Aprirsi ad una persona amica, significa entrare sempre più in profondità nel mistero del nostro essere. Non è una fuga da se stessi, ma il ritrovare le proprie radici, i valori essenziali che ci uniscono. Per questo “ti vengo a cercare, con la scusa di doverti parlare, perché mi piace ciò che pensi e che dici, perché in te vedo le mie radici”. La relazione con l’altro sembra essere suscitata dal bisogno di parlare, ed invece ci riporta alla dimensione propria dell’uomo che sta di fronte ad un altro, di fronte a Dio: l’ascolto. La relazione con il divino è caratterizzata innanzitutto dall’ascolto reciproco in cui l’uomo impara ad ascoltare Dio attraverso il silenzio che Dio stesso ci offre ascoltando noi uomini. Assaporare questa dimensione “mi spinge solo ad essere migliore con più volontà”, concentrando le mie energie e fatiche verso questo desiderio profondo di Dio che è stato piantato in me. Ma come fare? Da dove cominciare in maniera chiara e semplice? Quale percorso fare? Occorre “emanciparmi dall’incubo delle passioni, cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male, essere un’immagine divina di questa realtà”.

IMMAGINE DI DIO
Occorre “emanciparmi dall’incubo delle passioni, cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male, essere un’immagine divina di questa realtà”.
Occorre decidersi se seguire i propri istinti o il proprio desiderio; bisogna scegliere se si vuole vedere sempre e solo il negativo delle cose oppure scommettere sulla propria essenza, sulla nostra natura di uomini fatti ad immagine di Dio. Insomma, cercherò di vivere da uomo, veramente uomo. Cercherò di guardarmi allo specchio e scorgere lo sguardo di Colui che in me si ri-flette, si piega e si abbassa per prendermi dalle mie radici. E starò a guardare ogni uomo come il riflesso di questa immagine, cercando di guardare sempre al di là del giudizio, di ciò che è giusto. E anche se non saprò dire bene il perché so che ti vengo a cercare perché sto bene con te perché ho bisogno della tua presenza”. Abbiamo bisogno dell’altro, abbiamo bisogno di essere custoditi, guariti, curati nelle nostre debolezze.


LECTIO DIVINA

25 Marzo 2018 - Domenica delle Palme / B

Domenica delle Palme

Is 50,4-7; Sal 21 (22); Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47

La Domenica delle Palme ci offre ogni anno l’occasione di meditare sulla Passione di nostro Signore Gesù Cristo seguendo il racconto di uno dei Vangeli sinottici. Quest’anno tocca all’evangelista Marco introdurci all’ingiustizia più grave che la storia abbia mai conosciuto, ma che già l’Antico Testamento aveva preannunziato: la morte del Servo sofferente, condannato nonostante la sua fedeltà a Dio. Forse, però, proprio questa è la prova – come riconoscerà alla fine il centurione – che «davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39).

Commento alle Letture

La prima Lettura della Messa di oggi (Is 50,4-7) è l’incipit di quel brano del Libro del profeta Isaia che è conosciuto come il terzo Canto del Servo sofferente. Un personaggio senza nome parla di sé come di un uomo svegliato al mattino dalla Parola di Dio, un discepolo che deve prima di tutto ascoltare per poter poi indirizzare una parola allo sfiduciato (v. 4). La sua vita è modellata interamente dal Signore: è Lui che apre il suo orecchio e gli dà una lingua.
Questo servo veterotestamentario ci insegna già a non opporre resistenza alla chiamata di Dio e neanche agli insulti degli uomini: l’aiuto del Signore può renderci più forti del dolore; docili a Lui, non rimaniamo svergognati.

Il brano che la Liturgia ci propone come seconda Lettura (Fil 2,6-11) è un’esortazione a conformarsi a Cristo per dare testimonianza di Lui. Sembra quasi di scoprire finalmente qui anche il nome di quel servo anonimo di cui ci parlava la prima lettura: «Dio lo esaltò e gli donò un nome che è al di sopra di ogni nome» (v.9). Si tratta di quel Gesù che «svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (v.7). Proprio di Lui ogni lingua è invitata a proclamare: «Gesù Cristo è Signore» (v.11). Il servo… è Signore.
Colui che era uguale a Dio non cessò di essere tale, quando per amore si fece uomo; così per noi: ogni volta che sarà la carità fraterna a chiederci di ‘abbassarci’ per servire, ciò non ci toglierà nulla della nostra dignità di figli di Dio. Piuttosto ci restituirà quei tratti che ci rendono simili a Lui.

Commento al Vangelo

Il lungo brano evangelico (Mc 14,1-15,47) racconta gli ultimi gesti di Gesù. Ogni suo atteggiamento e ogni parola sono un insegnamento. Hanno un senso, ci rivelano qualcosa di Lui. Come il Servo sofferente del terzo Canto del profeta Isaia, Gesù nel racconto della Passione secondo Marco appare come incondizionatamente teso verso Dio e totalmente aperto verso gli uomini.
Nella pericope fanno comparsa diverse ‘figure a servizio del sommo sacerdote’: dall’uomo a cui nel podere del Getsemani è tagliato un orecchio, ai servi che si arrogano il diritto di schiaffeggiare Gesù, alla giovane che davanti a tutti denuncia Pietro come uno di coloro che stavano con il Nazareno. Dopo la morte di Gesù si accenna poi al servizio che a Lui avevano prestato quelle donne che ora non erano riuscite a fare altro che osservare da lontano.
Ma il vero Servo è colui che in questi due capitoli di Marco non viene mai nominato tale. È Gesù, che chiama se stesso Figlio dell’uomo ed è interrogato dal sommo sacerdote come Cristo e Figlio del Benedetto. Gli è chiesto di fare il profeta da coloro che gli sputano addosso, ma alla fine è proclamato Figlio di Dio. Lui è colui che non cerca di salvare se stesso, per dare gloria a Dio e redimere noi, dandoci anche un esempio da imitare.

Commento patristico

«Il Signore stesso che testimonianza ci ha lasciato? Mostrandoci il modello da imitare, sopportò l’onta gravissima di recare sul capo la corona di spine, subendo gli sputi, le percosse e la croce.
Se Dio, su questa terra, si è comportato a quel modo, a noi toccherà imitarlo. Se, al contrario, aspiri alla gloria umana e desideri ricevere onori ed essere rispettato e vai cercando una vita comoda, significa che hai già smarrito la strada che dovevi seguire. Occorre, infatti, che tu sia crocifisso e soffra con chi ha sofferto, per essere glorificato in unione a colui che è stato glorificato». (Pseudo-Macario, “Omelie spirituali” 12,4-5)

Commento francescano

Secondo la sensibilità che Francesco di Assisi ha acquisito pian piano, lungo il pellegrinaggio compiuto nell’interiorità del cuore, il modo in cui attraversiamo la sofferenza dice la misura del nostro servizio a Dio. Alcune parole del Poverello riportate nella “Vita Seconda” di Tommaso da Celano ci aiutano a capire in che senso:

«Nessuno deve ritenersi servo di Dio, sino a quando non sia passato attraverso prove e tribolazioni. La tentazione superata è, in un certo senso, l’anello con il quale il Signore sposa l’anima del suo servo. Molti si lusingano per meriti accumulati in lunghi anni, e godono di non avere mai sostenuto prove. Ma sappiamo che il Signore ha tenuto in considerazione la loro debolezza di spirito perché, ancor prima dello scontro, il solo terrore li avrebbe schiacciati. Infatti i combattimenti difficili vengono riservati solo a chi ha una vera, autentica forza d’animo» (2Cel 118: FF 704).

Orazione finale

Signore Gesù, vero Dio e Servo sofferente, aiutaci a scoprire la vicinanza del Padre negli eventi sconvolgenti che a volte l’esistenza ci offre. Per quell’Amore che ti ha ‘costretto’ a dare la vita, fa’ che anche noi rimaniamo fedeli a Dio e agli uomini.
Amen.
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