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NEWSLETTER n° 19 - 22 novembre 2017

LECTIO DIVINA

26 novembre 2017
Solennità di Cristo Re dell'universo / A
AO340

Ez34,11-12.15-17; Sal 22 (23); 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

La solennità di Cristo Re ci insegna in che senso il Signore è re e in che modo possiamo partecipare anche noi alla sua regalità: se riconosciamo la Sua presenza nelle necessità dei nostri fratelli più bisognosi. «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.... tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25, 35-40).

Commento alle Letture

Nella prima lettura (Ez 34,11-12.15-17), il profeta Ezechiele denuncia le responsabilità dei capi del popolo d’Israele. Costoro vengono presentati attraverso l’immagine dei pastori. Già altri popoli applicavano questa immagine a dei e uomini; Israele la applica al re e a Dio, come nel salmo responsoriale della festa odierna (Sal 22,1). E’ uno di quei passi in cui Dio ci parla di se stesso: lui è « un pastore » che fa riposare le pecore che erano state disperse a causa dei cattivi pastori; lui va « in cerca della pecora perduta », fascia « quella ferita », cura « quella malata », senza trascurare « la grassa » e « la forte ». Questo è il suo modo di regnare e in ciò si fa modello da imitare.

Nella seconda lettura (1Cor 15,20-26.28), san Paolo ci parla del Cristo risorto che « consegnerà il regno a Dio Padre » non prima di aver « ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza ». In un certo senso potremmo dire che la mentalità del Regno ci fa riconoscere la vanità di ogni umano ‘primeggiare’, l’insensatezza di chi fonda la sua fiducia sulle ‘potenze’ di questo mondo o esclusivamente sulle proprie ‘forze’. Il regno di Dio è altro.

Commento al Vangelo

Il primo messaggio che si può ricavare dal brano evangelico (Mt 25,31-46) è che ogni uomo è giudicato in base al suo amore per il piccolo e il debole. Non è però conforme al testo ritenere che il rapporto con Dio non sia importante. Al contrario: l’amore per l’ultimo è amore per lui stesso. Un’interpretazione atea (‘a-tea’: che esclude Dio) non corrisponde quindi al testo.
All’inizio del discorso escatologico del Vangelo secondo Matteo i discepoli avevano chiesto a Gesù « quando » e quali sarebbero stati « i segni » della fine. Il racconto del giudizio ultimo è una risposta sul « quando » e dice che i segni sono « questi miei fratelli più piccoli » (25,40): il Figlio dell’uomo, che è il protagonista della parabola, si identifica con gli ultimi. Il giudizio di cui si parla sarà un momento conclusivo in cui Dio ci aiuterà a prendere coscienza di ciò che liberamente stiamo scegliendo adesso. Il giudizio che il re farà di noi « allora » è lo stesso che noi facciamo ora al fratello, alla sorella. In realtà siamo noi a ‘giudicare Dio’, accogliendolo o respingendolo. Lui non farà altro che constatare ciò che noi facciamo. Alla fine leggerà ciò che noi liberamente abbiamo scritto. Ce lo dice in anticipo, con una rappresentazione efficace, per aprirci gli occhi su ciò che stiamo facendo ora.
Per capire il senso proprio di questo brano è importante sapere che viene immediatamente prima della passione, dove il re ci si presenta povero e deriso, estraneo a tutti e condannato, legato e percosso, nudo e ferito, che finisce in croce. Nel ‘discorso della montagna’ Gesù aveva chiamato « beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Anche noi siamo beati se guardando gli altri con gli occhi della fede riusciamo a vedere in loro Dio: « Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25,40).

Commento francescano

Agnese, che a Praga volle seguire la forma di vita che Chiara e le prime Sorelle conducevano ad Assisi, era figlia del re di Boemia ed era stata ripetutamente promessa sposa a diversi regnanti. A queste nozze aveva rinunciato per la sua scelta di consacrazione. Usando come altre volte un’immagine nuziale, Chiara le scrive:
Questa è la perfezione per la quale il Re stesso ti unirà a sé nell’etereo talamo, dove siede glorioso su un trono di stelle: poiché tu, stimando vili le grandezze del regno terreno e sdegnando le offerte di nozze imperiali, divenuta emula della santissima povertà in spirito di grande umiltà e ardentissima carità, hai ricalcato le orme di colui al quale meritasti di essere unita in sposa. (2LAg 5-7: FF 2873)
Agnese ha preferito ‘regnare’ nella propria vita alla maniera del Signore Gesù, attraverso la povertà, l’umiltà e la carità.

Orazione finale

Donaci, Signore, una carità ardentissima che ti sappia vedere nel prossimo che ci sfiora, che ci sproni a rispettare chi è deriso, che ci faccia udire la voce anche di chi non sa urlare, che ci faccia gustare l’incontro con coloro che l’abitudine più non ci fa notare. Donaci occhi nuovi, occhi di fede, perché non ci capiti di incontrarti senza riconoscerti.
Amen.


Pensiero del giorno

dal 13 al 19 novembre
Dio è innocente

IL GRIDO DELL'UOMO DI OGGI



HANA LA YAZIDA - L’INFERNO E' SULLA TERRA

Hana, giovane donna yazida, infermiera in un ospedale di Duhok, il 3 agosto 2014 era a Sinjar a visitare la sua famiglia, quando sono arrivati i guerriglieri dell’ISIS. In quell’occasione, come molte altre donne della minoranza yazida, ha perso il fratello, la madre e non sa dove sia finita la sorella, che come lei è stata presa prigioniera e poi venduta come schiava. Dopo vicende assai dolorose Hana riesce a scappare e a salvarsi dal suo aguzzino. Il libro narra di lei nel suo attuale presente, mentre vive a Duhok e lavora al campo profughi di Khanke, dovendo nel medesimo tempo fare i conti con le sue ferite interiori dovute alle sevizie subite d parte dei Daesh, gli uomini neri dell’ISIS, che hanno abusato più volte di lei, ma anche con la sua volgia di ritrovare uno spiraglio di normalità e felicità. Il suo raccontare, ricco di dettagli, diventa un affresco della vita e della società nel Kurdistan, permettendo al lettore di entrare nell’anima di un popolo del quale si sente parlare dai giornali e dalle televisioni per gli eventi di guerra di questi nostri martoriati giorni (Hana la yazida – L’inferno è sulla terra, di Claudia Ryan)

SAMIZDAT: UNA RISPOSTA AL GRIDO DELL’UOMO DI OGGI

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 padre Scalfi si dedicò sempre di più a far conoscere il samizdat, cioè i testi che si diffondevano clandestinamente in Unione Sovietica per esprimere la resistenza all’ideologia imperante ma soprattutto per testimoniare una visione dell’uomo inteso come libertà, responsabilità e comunione. Questi testi non erano necessariamente di autori cristiani, e andavano da lettere aperte e appelli, a poesie, romanzi, saggi di filosofia e teologia. In comune, avevano la fede nell’uomo.
« Se accendono le stelle vuol dire che qualcuno ne ha bisogno? » (Majakovskij). Noi rispondiamo positivamente. Abbiamo bisogno delle stelle. Abbiamo bisogno di goni cosa bella, buona e vera, perché abbiamo bisogno di felicità. Soltanto che la felicità, come l’arte, come la vita, ha bisogno di una roccia su cui edificarsi se vuol essere una casa che resiste alle tempeste, per non crollare, come dice il Vangelo. Václav Havel ha definito la cultura « rapporto del particolare con l’assoluto ». La felicità, parte della cultura di un popolo sano, non può essere da meno. Riconosco che a parlare oggi del desiderio di felicità, della ricerca della verità, si passa per gente non aggiornata, ma come cantava Okudžava, « finché la terra ancor gira, finché la luce è ancora chiara », vale la pena ostinarsi nel coltivare questo desiderio e insistere in questa ricerca (Padre Romano Scalfi).

SAMIZDAT: UNA RISPOSTA AL GRIDO DELL’UOMO DI OGGI

Per Grossman come per tutti gli autori del samizdat la grandezza dell’uomo è preminente a ogni struttura socio-politica. E questo lo esprime in un modo unico, in situazioni tragiche, che sembrerebbero dover togliere ogni libertà all’uomo; proprio osservando i lager, la guerra, giunge alla conclusione: l’uomo è libero in ogni situazione. Sono sue le parole: « La mia fede io l’ho temprata nell’inferno, la mia fede è uscita dal fuoco dei forni crematori ». Qual è questa fede? « Ho visto che non è l’uomo a essere impotente nella lotta contro il male, ma è il potente male a essere impotente quando lotta contro l’uomo ». Non ho trovato un’espressione di fede nell’uomo come questa, ma è una fede nell’uomo che è particolarmente nostra, per chi crede in Dio (Padre Romano Scalfi).

RESPONSABILE DI TUTTO CIÒ CHE ACCADE

Leonard Ternovskij, nato nel 1933, medico, si batte in difesa dei diritti umani. Arrestato nel 1980 per « attività antistatale », viene condannato a 3 anni di lager. Nel 1991 viene riabilitato. È morto a Mosca nel 2006.
La convinzione che la cosa più terribile e deleteria sia tacere davanti alle ingiustizie si è venuta formando in me per effetto dei documenti del XX congresso del PCUS. Il ’56 è stato l’anno del mio risveglio civile. Ho compreso che per quanto insignificante fossi di fronte alle proporzioni del mio paese, ero tuttavia responsabile di tutto ciò che vi accadeva. Si trattava ancora di idee molto iniziali. Deciso soprattutto a rifiutare tutto ciò che fosse connesso con la violenza, non riuscivo però a vedere alcuna possibilità di una protesta intelligente, dotata di sbocchi costruttivi. Verso la fine degli anni ’60 ho conosciuto delle persone che combattevano apertamente contro quello che ritenevano ingiusto. Il fatto che usassero come strumento la parola, e solo la parola, così come il coraggio con cui agivano, mi infondeva simpatia e rispetto. Vedevo che all’ingiustizia si poteva contrapporre una posizione umana decisa e una parola aperta.
Oggi mi si imputa a colpa la mia pubblica attività, che io definisco « difesa dei diritti umani», e invece l’accusa chiama « diffusione di menzogne denigratorie ». Ho partecipato all’attività della Commissione per la psichiatria, ho firmato innumerevoli documenti e comunicati. Ho già detto che sono convinto della loro veridicità.
Avevo previsto il mio arresto e questo processo. Questo naturalmente non significa che desiderassi andare a finire in prigione. Non sono un quindicenne, ho 50 anni, e quindi non ho più idee romantiche per la testa. Avrei preferito scampare alla galera. Ma rinunciare per questo a ciò che secondo me è il mio dovere lo considero indegno.
Ora ascolterò la vostra decisione. Ma so che la condanna è anche, in certo modo, il segno dell’importanza di quanto ho fatto e detto. E in futuro la mia riabilitazione sarà inevitabile, così come ora lo è la mia condanna…
Secondo le mie convinzioni ho cercato di lottare contro l’ingiustizia, di aiutare la gente, di fare del bene. Così si spiegano tutte le mie proteste e tutta la mia attività. Vado in prigione con la coscienza pulita.
Dall’ultimo intervento al processo, 30 dicembre 1980 « Russia cristiana »

VIVERE SENZA MENZOGNA

Uno degli aspetti che maggiormente impressiona nei testi del samizdat è il « mea culpa » che gli autori pronunciano dinnanzi alla catastrofe della rivoluzione e del regime ateo e repressivo che le seguì. Proprio questo aspetto, più di ogni altro, colpì padre Scalfi all’apparire in Occidente di Arcipelago GULag di Solženicyn e del suo appello « Vivere senza menzogna ».
Quando la violenza irrompe nella pacifica vita degli uomini, il suo volto arde di tracotanza, e porta scritto sulla bandiera e grida: « IO SONO LA VIOLENZA! Via, fate largo o vi schiaccio! ». Ma la violenza invecchia in fretta, dopo pochi anni non è più tanto sicura di sé, e per reggersi, per salvare la faccia, deve inevitabilmente allearsi con la menzogna. Infatti la violenza non ha altro con cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza. Non tutti i giorni né su tutte le spalle la violenza abbatte la sua pesante zampa: da noi esige solo docilità alla menzogna, quotidiana compartecipazione ad essa. Non occorre altro per esserne sudditi fedeli.
Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: IL RIFIUTO DI PARTECIPARE PERSONALMENTE ALLA MENZOGNA. Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini PER OPERA MIA!
È questa la breccia nel presunto cerchio della nostra inazione: la breccia più facile da realizzare per noi, la più distruttiva per la menzogna. Perché, se gli uomini ripudiano la menzogna, essa cessa semplicemente di esistere. Come un contagio, può esistere solo negli uomini…
Aleksandr Solženicyn, Mosca, 12 febbraio 1974

CHIAMATI A TRASFIGURARE IL MONDO

Nel torrente del samizdat, padre Scalfi riservava naturalmente una particolare attenzione ai testi che giungevano dai cristiani, sottolineando il loro impeto missionario e la lieta certezza della vittoria di Cristo, che permetteva loro di vivere e operare lietamente in un mondo così segnato dal male dell’ideologia, di tendere alla sua trasfigurazione e contemporaneamente di valorizzare tutto il bene che vedevano, nei cristiani ma anche in ogni uomo incontrato, indipendentemente dalla sua appartenenza culturale e religiosa..

Chi ritorna dai lager in Russia spesso dice che lì ha trovato se stesso. Ma ho un episodio meraviglioso da raccontare. Subito dopo la rivoluzione i cristiani potevano ancora parlare. Un giorno arriva un propagandista per dimostrare scientificamente che Dio non poteva esistere. Dopo aver parlato a lungo dice: «Beh, adesso se qualcuno ha obiezioni da fare venga avanti». Un vecchio allora si alza e dice: «Fratelli, Cristo è risorto!». A queste parole tutti si alzano e rispondono a gran voce: «In verità è risorto». La Resurrezione, quell’avvenimento, le parole di quella liturgia erano nella loro carne. Per la spiritualità russa la resurrezione anima la speranza di ogni giorno. Con quell’avvenimento si può sfidare la perfidia del mondo e il proprio male, come testimonia la rinascita cristiana sotto la persecuzione.
Da Il gran padre della Pasqua, « Il Sabato », 21 aprile 1984

POESIA DI UN SOLDATO

Ascolta, Dio! Mai prima dora in vita mia
ti ho parlato, ma oggi
ho voglia di mandarti un saluto.
Lo sai, fin da piccolo mi han sempre detto
che non esisti… e io stupido ci ho creduto.
Non ho mai contemplato le tue opere,
ma questa notte ho guardato
dal cratere di una granata
al cielo di stelle sopra di me
e di colpo ho capito, ammirando il loro scintillio,
quanto crudele possa essere l’inganno…
Non so, Dio, se mi darai la mano.
Ma voglio dirti qualcosa, e Tu mi capirai…
Non è strano che in mezzo al più tremendo inferno
d’un tratto mi sia apparsa la luce e abbia scorto Te?
Più di questo non c’è niente da dire…
Solo questo mi fa felice, che ti ho conosciuto.
A mezzanotte dobbiamo attaccare,
ma non ho paura, Tu vegli su di noi.
È il segnale! Che vuoi farci, vado.
Si sta bene con Te…
Voglio ancora dirti che, come sai,
la battaglia sarà dura,
può darsi che questa notte stessa venga da Te a bussare.
E anche se finora non sono stato tuo amico,
quando verrò mi farai entrare?
Ma che succede, piango?
Dio mio, Tu vedi cosa mi è successo,
soltanto ora comincio a veder chiaro.
Addio, mio Dio, vado… difficilmente tornerò.
Ma com’è strano, ora la morte non mi fa paura…

Per la Quaresima

il Monastero propone gli Esercizi spirituali aperti a tutti:

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