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NEWSLETTER n° 4 - 9 agosto 2017

novità
Gesù salva Pietro

Lectio divina

13 agosto 2017 - XIX /A
1 Re 19, 9a.11-13a Sal 84; Rm 9, 1-5; Mt 14,22-33

Nell’antifona d’ingresso ci viene presentato il “gregge del Signore” come sconfitto e senza guida che lo invoca affinché tenga presente la fedeltà della sua alleanza. Noi oggi abbiamo la stessa angoscia dell’antico popolo di Israele anche se la attribuiamo “stoltamente” alle vicissitudini della nostra vita. Per questo nella liturgia, la Chiesa ci invita a pregare il Signore e ad ascoltare… il suo silenzio che continua ad istruirci e a consolarci.

Commento alle letture

Elia nella prima lettura ci parla di una rivelazione silenziosa di Dio aprendoci ad una esperienza interiore del nostro rapporto con l’Eterno: la voce potente terribile di Dio tace per far posto a quella dolce della grazia che perdona. Dio può risvegliare gli uomini per mezzo delle prove della sua potenza ma, per toccare i nostri cuori, non esita ad usare la voce tenera della grazia nonostante tutta la nostra indegnità.
Nel brano della Lettera ai Romani proposto dalla liturgia di oggi, Paolo mostra la sua sofferenza nel vedere il distacco dei Giudei da Cristo, nonostante i tanti privilegi ricevuti.
Infatti egli vorrebbe essere separato da Cristo se ciò portasse qualche vantaggio a coloro che considera fratelli
Noi, come loro, non possiamo ritenerci a posto perché cristiani per “nascita”, per ambiente o per cultura perché Dio è guidato unicamente dalla sua misericordia. Dio chiama tutti gli uomini alla salvezza e solo la nostra libera adesione ci fa essere suo popolo.

Commento al Vangelo

Nel Vangelo di questa domenica siamo di fronte a un altro segno miracoloso: Gesù cammina sulle acque. Il racconto è costruito da una breve narrazione ed una conversazione. La narrazione introduce, e giustifica, il dialogo. Ma mentre la narrazione si concentra su Gesù ed i suoi discepoli, il dialogo di Gesù ha Pietro come interlocutore unico. I discepoli rientreranno nel racconto, e come credenti, solo quando sono in salvo, il vento calmato, Gesù e Pietro sulla barca.
Gesù, soddisfatta la fame della moltitudine, sente la necessità di rimanere da solo e lascia che i suoi navighino soli in mezzo alla notte ed al temporale. Non è la prima volta che Gesù abbandonava momentaneamente chi lo seguiva; ma normalmente non li lasciava neanche soli in mezzo al mare in tempesta. Con tutto ciò, Gesù non tarda a farsi presente, perfino quando non gli è stato chiesto ancora l'aiuto. Andando verso di loro, i suoi discepoli lo confondono con un fantasma: non potevano immaginarsi chi fosse colui che, davanti ai loro occhi, aveva sfamato la moltitudine. Ben poco avevano capito di quanto avevano appena visto!
La parola di Gesù, familiare in mezzo alla tempesta, li tira fuori dalle loro paure, ed incoraggia Pietro ad imitarlo camminando sulle acque. Ma il mare e la paura possono condizionare più che la fiducia: l'invito che Gesù fa a Pietro affinché vada al suo incontro non riesce a salvarlo dai suoi dubbi. E l'incredulità cresceva nel cuore di Pietro man mano che, camminando sull'acqua, affondava nel mare. Non gli bastò l'obbedienza a Gesù al quale aveva appena detto “comandami” e solo la mano del Maestro gli salvò la vita.
Sul mare ostile di questo mondo, la barca della Chiesa, avanza in mezzo alle onde. Il Signore non è nella barca: si attende il suo ritorno per la fine della notte. In questo intervallo di tempo, la chiesa proseguirà il suo cammino verso il porto della salvezza soltanto con la fede nella parola potente del Signore risorto. Anche dopo la resurrezione, la fede dei discepoli conosce molte incertezze: il loro cuore è attraversato dalla paura di fronte a colui che scambiano per un fantasma.
E' ciò che normalmente succede a noi che, spossati per le difficoltà, ci dimentichiamo dell'aiuto che Dio ci ha appena prestato: l'ultimo pericolo, la necessità più recente, la nuova pena, ci fanno credere di essere stati dimenticati da Gesù.
L'unica maniera sicura di distinguerlo nella notte, in mezzo alla nostra angoscia, è tornare ad ascoltare Gesù. Affinché nella nostra vita torni a sorgere la speranza di essere in salvo, come i discepoli nella barca, dobbiamo lasciare che Gesù ci parli. La sua parola ci tirerà fuori dalla paura, benché ancora non sia sparita la tempesta; la sua mano ci afferrerà con più forza che il temporale. Ci allevierà la pena, benché stiamo soffrendo ancora.
Il peggiore dei temporali che può cadere su noi non è quello che mette più in pericolo la nostra vita, bensì quello che occulta Dio e ci fa dubitare del suo interesse per noi. Finché continuiamo a sentirlo, finché lo seguiamo per sentirlo meglio, avremo ancora motivi per contare sulla sua presenza ed il suo aiuto. Perdiamo Dio, e ci perdiamo noi stessi, perché, dovendo fare tanto per salvarci, non abbiamo tempo di ascoltarlo.

Commento Francescano

«Vedendolo camminare sulle acque, i discepoli furono sconvolti e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”» (Mt 14,26-27). Essere profeti in questo tempo è scegliere di camminare sulle acque come i poveri di oggi, con la speranza nel cuore, per rivelare la vicinanza di Dio, che non abbandona mai l’umanità. Francesco e Chiara, rispondendo alla voce dello Spirito, scelsero di vivere il Vangelo, a livello personale e fraterno, senza nulla di proprio: “Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, e come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, con fiducia mandino per le elemosina” (Regola di Santa Chiara, FF 2795). La predilezione per la povertà radicale si ispira all’amore di Cristo; dall’amore per il Cristo povero e crocifisso nasce il coraggio di riscegliere la marginalità e recuperare la dimensione profetica. Non dobbiamo avere paura se, anche se spossati dalle difficoltà, ci fermiamo ad ascoltare la voce dello Spirito e respingiamo ogni comodità e compromesso che non renda credibile la libertà del Vangelo. Vivendo di contemplazione sulla soglia del Mistero siamo chiamati a essere testimoni delle parole che affondano in Dio.

Preghiera

Signore, spesso mi capita di subire la violenza del mare e del vento perché la mia lotta è debole, la mia volontà è incerta, mi scoraggio di fronte alla potenza del male perché non credo e non voglio credere che Tu puoi tutto. Aiutami ad uscire da me stesso, dammi il coraggio di scendere dalla barca, quell'unica certezza, che non mi salverà dalla violenza delle onde. Non permettere che io affondi nel mare delle incertezze e della superbia, ma fa che la mia storia diventi un narrare le Tue opere, e non le mie. Amen.

reginetta

Pensiero del giorno

dal 31 luglio al 6 agosto

Tanti pensieri riempiono la nostra mente e tanti problemi chiedono a noi risposte chiare. Anche il continuo bombardamento di notizie, spesso angoscianti, influenzano il nostro tempo e fanno crescere in noi preoccupazione e ansia. Il pensiero del giorno che offriamo quotidianamente nel nostro sito, è allora uno spunto che vuole portare nel nostro tempo una luce di speranza e amore.
Sono pensieri attinti per lo più dalle nostre letture e riflessioni spirituali e che sono uniti da un'identica tematica per cui li riproponiamo nella settimana successiva alla loro pubblicazione inviandoli con un'unica newsletter, per offrire anche la possibilità di una lettura continua.

Iniziare alla preghiera oggi

"La preghiera non si riduce allo spontaneo manifestarsi di un impulso interiore: per pregare, bisogna volerlo. Non basta neppure sapere quel che le Scritture rivelano sulla preghiera: è necessario anche imparare a pregare" (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2650). La preghiera cristiana è suscitata dallo Spirito Santo che abita in noi. Essa non coincide con una preghiera naturale o con un vago senso religioso. E' risposta alla Parola che Dio ha rivolto per primo all'uomo, è risposta al Dio che gli ha parlato rivelandosi nelle Scritture, e dunque comporta un lavoro di apertura relazionale, di ascolto, di conoscenza con Dio. Senza questo lavoro, la preghiera resta esposta all'individualismo esasperato di oggi e rischia le derive del soggettivismo, dell'emozionale. Il pregare cristiano non è riducibile allo spontaneismo. E' l'azione dello Spirito Santo in noi che ci fa pregare come pregava Gesù e ci rivela così il volto del Padre. Dice Giovanni: "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). La preghiera cristiana inizia con l'ascolto, non è un monologo autocentrato, ma ricerca di una relazione e di un dialogo con Colui che ha parlato per primo. Significa entrare nella relazione di filialità con il Padre, come ci ha insegnato Gesù. E questo ci dice che un'adeguata educazione alla preghiera dovrà far spazio al silenzio. Il silenzio, che spesso è al cuore della ricerca spirituale di molte persone che si volgono ad esperienze religiose orientali o esoteriche, ha tutto il suo spazio nella preghiera cristiana. Esso non è ricerca di tranquillità psicologica ma esige un lavoro, una fatica per accogliere la Parola e fare spazio a Dio in noi. Solo grazie al silenzio il credente può essere educato a cercare e trovare il Signore non solo fuori di lui, ma in lui: "Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23). L'ascolto della Parola ci porta a incontrare non solo Dio ma anche gli altri. L'obbiettivo dell'ascolto è comprendere l'altro, rompere con i pregiudizi, è purificazione delle idee che abbiamo sull'altro. E' un'ascesi che chiede di sapersi decentrare dal proprio ego per non essere distratti e occupati dalle proprie sofferenze e dai propri pensieri e divenire così grembo accogliente per l'altro. L'ascolto poi, che è anche e sempre ascolto di sé, di ciò che l'altro suscita in noi, dei movimenti del nostro cuore e delle emozioni che ci abitano, richiede tempo. Occorre prendersi tempo per ascoltare. La fretta è nemica dell'ascolto.

La vita interiore
La preghiera attiva uno spazio interiore affinché la persona possa compiere quel cammino di conoscenza di sé che sempre si accompagna al parallelo itinerario di conoscenza di Dio.
La vita interiore è un appello, una chiamata. La storia della fede e della salvezza inizia con quel cammino di Abramo che è sì di uscita da una terra ma è soprattutto cammino interiore. Le parole di Gen 12,1 lek lekà sono invito a uscire dalla terra, ma anche e soprattutto ad andare verso se stesso: "va 'verso te stesso ", significa letteralmente l'espressione ebraica.
La preghiera ha bisogno di una vita interiore. Occorre pertanto favorire l'instaurarsi nella persona di una dialogicità interiore, della capacità di pensare e riflettere, di porsi domande. Se la preghiera è 'giudicare e decidere con Dio', essa chiede all’uomo di sviluppare i movimenti umanissimi di riflessione, di conoscenza di sé, di lucidità e vigilanza per giungere anche al discernimento di sé e
della realtà.
Nessuna fretta di insegnare forme o metodi di preghiera: più urgente e importante è educare l’umanità della persona a conoscersi e pensarsi davanti a Dio. Del resto, questo è l'insegnamento che ci proviene dai Salmi: in essi, l'orante pensa la propria vita, in situazioni determinate, davanti a Dio, per arrivare a vivere in obbedienza alla volontà di Dio, per integrare nella fede anche esperienze
dolorose.
In tempi segnati dal primato dell'esteriorità e dell'apparire, di esibizione della sfera interiore e di pornografia dell'anima, è importante accordare spazio e peso alla vita interiore, alle umanissime dimensioni che consentono alla preghiera di svilupparsi come manifestazione di una persona unita e integrata.

Educare alla preghiera
In vista dell'educazione alla preghiera occorrerà poi sviluppare degli elementi che stanno nello spazio di una formazione segnata dalla riflessività.
La riflessività indica che l’uomo è chiamato a pensare ciò che vive mentre lo vive, a leggere criticamente tutto ciò che fa sapendovi vedere e leggere se stesso, quasi sviluppando un terzo occhio capace di vedere se stesso, quasi guardando se stesso dall'esterno e così conoscersi e migliorarsi.
Questi elementi, questi specchi, ci invitano a lasciarci guidare dallo Spirito, ben sapendo che la preghiera cristiana avviene grazie allo Spirito Santo:
"Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26).

La conoscenza della Bibbia
Alla radice della preghiera cristiana vi è la Parola di Dio contenuta nelle Scritture. Pertanto è essenziale trasmettere la conoscenza delle Scritture: infatti, "l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo " ( Gerolamo).
La Parola di Dio non solo parla a noi, ma di noi. Mentre la leggiamo essa ci legge; mentre la comprendiamo, comprendiamo noi stessi; mentre la interpretiamo, essa ci interpreta : "La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4,12- 13 ). Porre la Scrittura al cuore della vita di preghiera aiuterà il passaggio da una
spiritualità spesso impastata di devozionalismi, al formarsi di un retto sensus fidei che sosterrà in modo robusto una fede matura.

La lectio divina è la forma tradizionale di approccio alla Scrittura che cerca di fare della lettura del testo biblico l'ingresso in una relazione con il Signore che parla attraverso la pagina biblica.
Aperta dalla preghiera con l'invocazione allo Spirito, la lettura del testo (lectio) si prolunga nell'approfondimento del senso teologico-spirituale dello stesso (meditatio) per giungere alla risposta orante alla Parola (oratio) e sfociare nella contemplazione (contemplatio). Con la lectio e la meditatio l'orante fa emergere il messaggio del testo, mentre con l'oratio e la contemplatio risponde alla Parola coinvolgendosi in prima persona e leggendo la propria vita personale ed ecclesiale alla luce della Parola di Dio.
La lectio divina è esperienza spirituale teologicamente solida e sicura, accessibile a tutti e quanto mai efficace nella maturazione della fede.

I Salmi
La liturgia quotidiana della Chiesa è intessuta della preghiera dei Salmi. Scrive Atanasio di Alessandria: "Mi sembra che i Salmi diventino per chi li canta come uno specchio perché possa osservare se stesso e i moti della propria anima, e recitare i Salmi con tali sentimenti". Nel libro dei Salmi chi ascolta impara così a conoscere le passioni che lo fanno soffrire e lo tengono prigioniero.
In particolare i Salmi insegnano l 'unità fra preghiera e vita. Essi non sono altro che vita e storia messe in preghiera, cioè davanti a Dio: dire che i salmi insegnano a pregare significa che insegnano a vivere le situazioni quotidiane davanti a Dio. Forse è questa la loro valenza più significativa. Essa implica infatti l 'unità della persona umana: lungi da scissioni fra spirituale e materiale, fra piano intellettuale e piano della prassi, l'uomo (con tutto il suo essere e tutto il suo mondo) è implicato nella preghiera. L'unità tra preghiera e vita comprende anche l 'intrinseco rapporto fra piano personale e piano comunitario: l'orante dei salmi non dice «io» senza dire al tempo stesso “noi”, senza cioè essere consapevole del suo inserimento nella Chiesa( cf. Sal 51, 20-21).
Insomma, i Salmi sono un costante appello alla conversione da forme anchilosate, edulcorate, atrofizzate di fede. Con l'infinita gamma di linguaggi che essi presentano (silenzio, lacrime, gemito, grido, sussurro, dialogo interiore, risa, stupore, confidenza...) essi ricordano che la preghiera è relazione con Dio, ma relazione vissuta, concreta, quotidiana, esistenziale, storica. Ricordano che la preghiera è vita vissuta davanti a Dio.

Il silenzio e la solitudine
La preghiera abbisogna di silenzio e solitudine. La tradizione monastica afferma che "la cella è specchio del monaco " e che la cella esteriore, la cella in muratura, è rinvio alla cella interiore, alla cella del cuore. Custodire la cella è custodire il cuore, vegliare, conoscere le proprie tentazioni, combatterle, entrare nella lotta spirituale. La cella, ovvero, uno spazio di solitudine e un tempo di silenzio, consentono di imparare i fantasmi che ci abitano, i demoni che ci agitano. Dobbiamo chiederci se tv, musica, computer, non bloccano e anestetizzano la valenza rivelati va che la 'cella' può svolgere nei nostri confronti.
L'esame di coscienza
'In che consiste la storia di ogni tua giornata? Prendi in esame le tue abitudini'. L'esame di coscienza aiuta l 'uomo a rendersi conto della sua debolezza, dei suoi errori e lo immette nella via della correzione. Seneca scrive: "Io mi metto sotto processo ogni giorno ". Alla sera, prima di andare a letto, "scruto l 'intera mia giornata e controllo tutte le mie parole e azioni, senza nascondermi nulla, senza passar sopra a nulla". Si tratta di interrogarsi su ciò che si è vissuto, sulle reazioni avute nei rapporti con gli altri, e porre tutto questo davanti alla parola di Dio e allo sguardo del Signore, per non cadere nei perfezionismi moralistici. La quotidianità è lo specchio che riflette per noi la nostra immagine e ci permette di convertirci alla luce della parola del Signore.
Luoghi di educazione alla preghiera
Dove ci si educa alla preghiera, c'è anche la vita. I luoghi di educazione alla preghiera sono anche i luoghi di trasmissione della vita. Non può essere diversamente visto che la preghiera è vita vissuta davanti a Dio. Questo comporta che l'educazione alla preghiera ha bisogno di testimoni, più che di maestri; di servi della Parola, più che di esegeti; e si nutre di fede semplice, di umanità autentica e di umile apertura all'azione dello Spirito. Sono ambiti di educazione alla preghiera, tra gli altri, la famiglia, le comunità, la liturgia e la paternità spirituale.

L'accompagnamento spirituale è fondamentale nell'opera di iniziazione alla preghiera. Consente di sfuggire ai rischi del soggettivismo, del ‘fai da te’, dello spontaneismo. Il padre spirituale deve essere un uomo capace di trasmettere vita: un uomo che ha esperienza umana e spirituale e sa comunicarla. Non è affatto necessario che sia un teologo o un intellettuale, ma che abbia il dono del discernimento. Le difficoltà nella preghiera, i periodi di non senso e di aridità, le crisi che intervengono nel cammino di fede, sono situazioni che all'interno della relazione di paternità spirituale, segnata da fiducia e discrezione, possono essere affrontate ed elaborate.
(cfr Luciano Manicardi, monaco di Bose)

La preghiera di un monaco
Molti oggi hanno paura della solitudine, non si sentono vivi se non sono attorniati continuamente dalla gente.
La solitudine, però, può essere anche una benedizione. Se non la si confonde con un arido isolamento e con la terribile assenza di contatti sociali, la capacità di stare soli con se stessi è un elemento centrale di ogni percorso spirituale: senza momenti in cui stare soli non esiste una vera relazione con Dio, né si riconosce con sincerità chi si è realmente.
A chiunque di noi capita di essere soli, provare un senso di solitudine, dipende da noi però il modo con cui scegliamo di vivere quella solitudine. E’ in nostro potere ribellarci alla solitudine oppure viverla come una fonte da cui attingere, realtà preziosa che ci mette a contatto con la ricchezza del nostro animo.
Ciascuno ha il suo modo per meditare. Nella mia cella ho un angolo per la preghiera con un’icona di Cristo. Ogni mattina accendo una candela e poi medito con la preghiera di Gesù: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me!”. Questa preghiera mi conduce nello spazio interiore del silenzio, che è riempito dall’amore di Cristo. In questo spazio mi sento a casa, al sicuro. Sento come la meditazione mi faccia bene.
Naturalmente la preghiera non è sempre meravigliosa. A volte, pur con tutta la pratica, sono distratto. In questi casi, guardo l’icona e i pensieri molesti se ne vanno.
Affido a Dio la giornata, tutto ciò a cui ho messo mano oggi, ciò che è riuscito e ciò che non lo è. Senza rimuginarci su.
Talvolta è la svogliatezza a trattenerci dal meditare. Se però ci fermiamo e ci atteniamo con perseveranza alla nostra meditazione, la pace torna ad affiorare dentro di noi:
“Un fratello interrogò un anziano dicendo: ‘I miei pensieri divagano e io ne sono angustiato’. E quello gli disse: ‘Rimani seduto nella tua cella ed essi torneranno indietro. Come, infatti, quando un’asina è legata, il suo puledro saltella di qua e di là, ma, dovunque vada, ritorna sempre da sua ma- dre, così i pensieri di colui che persevera nella sua cella a causa di Dio, se anche divagano per un po’, poi ritornano di nuovo da lui” (detti dei Padri del deserto).

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