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NEWSLETTER n° 28 - 24 gennaio 2018

  • LECTIO DIVINA - 28 Gennaio 2018 - IV Domenica T.O. / B
  • IL DONO D'AMORE E DELL'ESSERE AMATI - Anna Pia Viola, francescana secolare

LECTIO DIVINA

28 gennaio 2018 - IV Domenica T.O. / B

Gesù insegna nella sinagoga

Dt 18,15-20; Sal 94 (95); 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28

I testi che la Liturgia ci dona nella IV Domenica del Tempo Ordinario ci conducono a confessare il primato di Gesù Cristo. L’Antico Testamento (prima Lettura) annunciava un profeta, che il Vangelo ci fa riconoscere in Gesù. Ascoltare la sua voce (Salmo Responsoriale) e preoccuparci delle “sue cose” (seconda Lettura) ci immette in un cammino secondo lo Spirito di Dio, vittoriosi sullo spirito impuro (Vangelo).

Commento alle Letture

Nella prima Lettura (Dt 18,15-20) Mosè promette che il Signore susciterà un profeta che parlerà in Suo nome e per questo Dio stesso chiederà conto dell’ascolto prestato alle sue parole, non a quelle di indovini e incantatori (Dt 18,14).
Nella vita è bene imparare ad ascoltare: ascoltare gli altri, quel che hanno da dirci, le loro opinioni. Tuttavia non possiamo accogliere allo stesso modo ogni messaggio che ci viene lanciato. Il brano di oggi tratto dal Deuteronomio ci insegna che ascoltare non basta: è fondamentale sapere chi ascoltare.

La seconda Lettura (1Cor 7,32-35), che apparentemente sembra sfuggire al filo logico che unisce manifestatamente gli altri brani odierni, può esser compresa a partire da quel preoccuparsi che ricorre per ben cinque volte, inizialmente riferito alle cose del Signore, poi alle cose del mondo. La “preoccupazione” è qualcosa di cui ci si occupa prima, un’azione a cui si dà la precedenza. Trattando la questione sull’opportunità del matrimonio per i cristiani, l’Apostolo ha a cuore l’essenziale, che è restare fedeli al Signore.
Da S. Paolo raccogliamo le indicazioni per una via sicura per tutti: “occuparci” prima di tutto e soprattutto di piacere a Lui.

Commento al Vangelo

La sinagoga di Cafarnao in cui si svolge la scena evangelica (Mc 1,21-28)
è stata restituita dagli scavi archeologici alla venerazione dei fedeli per far memoria di quel momento in cui Gesù si presentò come il Messia desiderato, quel profeta annunciato da Mosè. Il suo potere sugli spiriti impuri e non di meno l’insegnamento nuovo, dato con autorità ne sono una dimostrazione. Gesù non scaccia il demonio “in nome di altri”, ma semplicemente ordina: «Taci!».
È un implicito ordine di silenzio verso le parole vuote dinanzi alla Parola, un po’ come esortava il Salmo Responsoriale: «prostràti, adoriamo». L’adorazione è l’atteggiamento più adatto al credente, quel saper stare in silenzio davanti al Signore, fiduciosi in lui, in ascolto. La sua Parola non è come le altre, non è paragonabile al “dire” di chicchessia. La Sacra Scrittura non è un libro tra altri. Gesù Cristo non è “un uomo come tanti altri”. Meravigliosamente rende l’idea, la preghiera di colletta opzionale per questa Domenica: « Padre, nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza ».
La fede in lui cambia la vita. Accostandoci alla sua Parola con la speranza propria dei credenti scopriamo, della vita, il senso vero, che è poi l’unico per cui vale la pena spenderla.

Commento francescano

Negli Scritti di Francesco di Assisi il termine maestro è riferito non ad altri che al solo Signore. Così nella Regola non bollata (35: FF 61) ricorda alla lettera le parole di Gesù nel Vangelo secondo Matteo (23,10):
«Non fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro Maestro [Cristo]».
La Leggenda maggiore di san Bonaventura, come precedentemente il Celano, racconta gli ultimi istanti del pellegrinaggio terreno di san Francesco in questi termini:
«Così disteso sulla terra, dopo aver deposto la veste di sacco, sollevò la faccia al cielo, secondo la sua abitudine, totalmente intento a quella gloria celeste, mentre con la mano sinistra copriva la ferita del fianco destro perché non si vedesse. E disse ai frati: Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (14,3: FF 1239).
A chi seguiva il Signore nella stessa sua Forma di vita Francesco ha indicato umilmente e chiaramente a quale Parola consacrare il proprio ascolto.

Orazione finale

O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza e il liberatore delle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine di coloro che a te si affidano. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

IL DONO D'AMORE E DELL'ESSERE AMATI

Anna Pia Viola, francescana secolare
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IL DONO D’AMORE E DELL’ESSERE AMATI
(cfr Il Magnificat di Anna Pia Viola, Francescana Secolare)

Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,46-48).
Maria è sopratutto madre, mamma.

Il Si di Maria ha permesso il capovolgimento della storia degli uomini e il compimento della storia della salvezza: con il suo Si la promessa si compie, il Verbo si fa carne, Gesù nasce. Maria, nel Magnificat, esalta Dio perché opera grandi cose in lei, umile serva. Questo lo stupore di Maria e la sua lode. Nella piccolezza Dio compie grandi prodigi e questo ci insegna Maria: Dio è grande in noi.
Gesù ci dice che dobbiamo diventare come Lei. Noi diventiamo con Lei il grembo di Dio che genera la fede.

Maria è sopratutto madre, mamma. Maria ci invita a prendere più confidenza con l’essere madri, con il potere che abbiamo di essere ‘madri’, anche di noi stessi. Saremo madri tutte le volte che ascolteremo la Parola e la metteremo in pratica, allo stesso tempo daremo a noi stessi la possibilità di rinascere dall'ascolto e dal silenzio. Maria dice il suo nel silenzio, custodisce la Parola anche se non la capisce e non sa che cosa dire. Il mistero che l’avvolge non si comprende fino in fondo. C'è una progressione della fede in Maria, questa è vera fede: Maria non capisce le parole del vecchio Simeone “una spada ti trapasserà il cuore”, non capisce ma fa silenzio.


Maria “fa grande” Dio (“magnificare” = far grande) e ci aiuta a riconoscere il bene che ci viene da Dio. Maria vede Dio come generoso amante, elargitore di ogni bene, capace di dare la vita, dal braccio potente, vittorioso su ogni male. L’uomo s’era fatto di Dio un idolo a sua immagine e somiglianza, ha rimpicciolito dio fino a rendere lui stesso piccolo, nulla, insignificante. Maria invece gli dà la grandezza del suo nome. Lo riconosce come Dio e si scopre piena di lui. Ognuno riceve Dio nella misura in cui lo “magnifica” e lo magnifica nella misura in cui cede posto alla sua altezza, abbassandosi. Questo significa fare grande e riconoscere il bene dell'altro.

Maria è umile perché riconosce la propria verità: essere amata da Dio. Questo la rende capace di amare. Siamo incapaci di amare, soffriamo la mancanza d’amore, perché non ci sappiamo leggere come destinatari di amore. La ferita più grave che si possa infliggere all'essere umano è la mancanza di amore. IL SENTIRSI NON AMATI genera il pensare di NON ESSERE DEGNI DI ESSERE AMATI, fino a rifiutare se stessi. Ecco l’inganno, la non verità: la convinzione di non potere essere amati per noi stessi, ma solo per qualcosa che facciamo per gli altri o che gli altri si aspettano di ricevere da noi. Tale convinzione a volte è così forte che gli uomini non la possano vincere con le loro forze, poiché essi sono fondamentalmente incapaci dell’amore gratuito. Solo Gesù Cristo è capace di amarci per noi stessi, per quello che siamo realmente, dietro le molte maschere che indossiamo per nascondere agli altri le nostre debolezze, le nostre paure, le nostre incoerenze.

A volte si rischia di fraintendere la parola del vangelo che dice: ciò che vuoi che gli altri facciano a te, tu fallo agli altri. Il rischio è quello di generare un pensiero di attesa, di aspettativa e non di gratuità del gesto. Infatti, secondo questa logica, pensiamo che le persone saranno gentili con noi se siamo gentili con loro; che ci aiuteranno se le aiutiamo; che ci inviteranno se le invitiamo; che ci ameranno se le amiamo.
E questa convinzione è così profondamente radicata in noi che riteniamo che l’essere amati è qualcosa da guadagnarsi.
Nel nostro tempo segnato dall’efficienza, dall’utilitarismo, questa convinzione è diventata ancora più forte e ci è difficile pensare di avere qualcosa in cambio di nulla; tutto dev’essere conquistato: anche una parola gentile, un’espressione di gratitudine, un segno di affetto. La fortissima inclinazione a cercare riconoscimenti, ammirazione, popolarità e fama è radicata nella paura che, senza di essi, siamo senza valore. Il risultato è uno stato interiore che ci fa vivere come se il nostro valore come esseri umani dipendesse dal modo in cui gli altri reagiscono nei nostri confronti.
Eppure ogni cosa che Gesù ha fatto, detto e subìto è intesa a dimostrarci che l’amore ci è dato da Dio non perché lo meritiamo ma perché Dio è Amore.

Così il rischio è che lasciamo che siano gli altri a decidere chi siamo. Pensiamo di essere buoni se gli altri trovano che lo siamo; pensiamo di essere intelligenti se gli altri reputano che lo siamo; pensiamo di essere religiosi se lo ritengono anche gli altri… Vendiamo così la nostra anima al mondo, non siamo più padroni in casa nostra. I nostri amici e nemici decidono chi siamo; siamo diventati il trastullo delle loro buone o cattive opinioni. La cosa tragica, però, è che non siamo capaci di toglierci gli uni per gli altri la solitudine e la mancanza di rispetto di sé. Non abbiamo la capacità di alleviare la situazione più radicale gli uni degli altri. La nostra capacità di soddisfare il desiderio più profondo dell’altro è così limitata che rischiamo sempre di nuovo di deluderci a vicenda.
Solo Dio ci ama per quello che siamo, indipendentemente da nostri meriti e dalle nostre qualità, perché Egli solo è capace di amore totalmente gratuito e disinteressato; Egli solo ci ama senza aspettarsi di essere ricambiato, ma solo riconosciuto come l’Amore che si dona. Questa è l’esultanza di Maria: ha guardato l’umiltà di una persona normale, non i suoi meriti! Sentirsi amati permette l’abbandono, l’apertura.
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