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NEWSLETTER n° 13 - 11 ottobre 2017

Corso ceramica
Carissimi,
desideriamo condividere con voi il frutto di alcuni momenti formativi che ci hanno impegnate comunitariamente durante il mese di settembre appena concluso.
Anzitutto il corso di ceramica, che ci ha permesso di diventare un po’ più abili in un lavoro che da qualche tempo abbiamo avviato tra altri in monastero, soprattutto per la produzione di oggetti destinati al culto come pissidi, calici e lampade. La cosa veramente ci appassionava molto e il prof. Giuseppe Praticò, un anziano e simpatico specialista in ceramica, ci ha aiutate per una settimana ad approfondire questa passione, a scoprire certi ‘trucchi del mestiere’, a migliorare nella tecnica. Abbiamo modellato, infornato e dipinto tantissimo.
Corso ceramica 2
Corso biblico
A fine mese poi per quattro giorni don Silvio Barbaglia, biblista della diocesi di Novara, ci ha tenuto un corso sul Vangelo di Giovanni presentandoci diverse ipotesi nate dalle sue ricerche e dai suoi studi sulla Scrittura.
Mettendo in discussione molte delle nostre certezze esegetiche, ci siamo accostati maggiormente a Gesù, alla importanza della sua storia terrena. Gesù ha un rapporto diretto col Padre e ci propone un modello di vita fuori da ogni ‘appropriazione’, povero e umile: segno del Regno dei cieli che già possiamo vivere su questa terra. Questo ci ha avvicinato anche alla nostra spiritualità francescana, chiamate come siamo a vivere il ‘sine proprio’, dietro le orme di Francesco e Chiara d'Assisi.

Fraternamente,
le Sorelle Clarisse di Farnese

LECTIO DIVINA

15 ottobre 2017
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario / A
XXVIII T.O.

Is 25,6-10a; Sal 22(23); Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14

I brani della Scrittura proposti in questa domenica ci parlano tutti di un banchetto, di sazietà e fame, di un pranzo di nozze. Il significato allegorico è che Dio celebra le nozze con l’umanità, attraverso il Figlio. Una festa nuziale, momento quindi di comunione e di allegria, è anche il passaggio terapeutico in cui le nostre ferite, le nostre solitudini, vengono risanate per sempre. Per partecipare e accogliere tale gioia del banchetto nuziale dobbiamo essere disposti a subire il momentaneo, leggero strappo del velo che nasconde la ferita dell’anima. Senza paura di portare alla luce il nostro bisogno di amare e di essere amati, accogliamo l’abito nuziale, la veste bianca, operando con amore e sostenuti da Gesù.


Commento alle Letture

La prima lettura (Is 25,6-10a) fa parte di un inno di ringraziamento che celebra la vittoria di Dio e parla del banchetto escatologico. Viene rappresentato un grandioso banchetto offerto a tutti i popoli (25,6). Che sia simbolo di felicità eterna, può essere indicato anche dall’annuncio che allora il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto. Questa Parola conferma la nostra fiducia in colui che raccoglie le nostre lacrime nel suo otre, conosce le nostre sofferenze e le avvalora se vissute con lui e per lui. Come recita il Salmo: Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me[…]. Davanti a me tu prepari una mensa (22,4a.5a). Nella seconda lettura (Fil 4,12-14.19-20), il brano della lettera di Paolo rivolta ai Filippesi, l’Apostolo mostra gratitudine per gli aiuti materiali ricevuti da loro. Non avrebbe bisogno in realtà di quegli aiuti, li accetta tuttavia volentieri come espressione dell’affettuoso interessamento dei fedeli nei suoi confronti. Dall’Apostolo allenato alla sazietà e alla fame impariamo la fiducia in colui che gli da forza, nel quale tutto può.

Commento al Vangelo

Il Vangelo di Matteo (22,1-14) ci parla di una festa di nozze: Dio celebra le nozze con l’umanità, attraverso il Figlio. Secondo alcuni il racconto sottintende il problema della convivenza nella comunità cristiana delle origini di giudei convertiti e pagani convertiti. Tanti tra i giudei mantenevano l’usanza antica di non sedersi allo stesso tavolo con un pagano. Ma il Vangelo dice che il padrone ordina di far entrare buoni e cattivi nella sala (Mt 22,10). Nel contesto dell’epoca, i cattivi erano i pagani, quindi anche loro sono invitati a partecipare alla festa. L’invito è gratuito e nessuno lo merita: se è vero che non lo ‘meritano’ i pagani, è pur vero che non lo ‘meritano’ neanche i giudei.
Il brano può essere considerato uno di quelli che più di altri nella Scrittura ci parlano contemporaneamente di tutte e due le parti che costituiscono la relazione tra Dio e l’uomo. La prima parte è quella di Dio: egli ci dona gratuitamente, immeritatamente. La seconda parte spetta a noi, ad ogni singolo uomo. La nostra parte è piccolissima, ma per volontà di Dio imprescindibile: il Signore ci ha creati con una dignità che è garantita dalla libertà che lui stesso ci ha donato. Non ci tratta come marionette, per questo non fa la nostra parte: tocca a nessun altro che a noi. Questa piccola parte è il nostro ‘sì’ o il nostro ‘no’ al suo dono: la scelta libera di accogliere o meno la sua grazia. Dio ci invita tutti, cattivi e buoni (22,10). La nostra parte è accogliere l’abito nuziale (che nei banchetti tipicamente era offerto agli invitati all’ingresso della sala del banchetto), lasciarsi rivestire. Scrive S. Gregorio Magno: « Abbiate la fede con l’amore: è questo l’abito nuziale ». E prima di lui l’Apocalisse spiega: la veste di lino sono le opere giuste dei santi (19,8). Senza questa veste, cioè dove consapevolmente e liberamente si sceglie di stare lontano dal Signore, lui non può asciugare le nostre lacrime.

Commento francescano

In una delle lettere indirizzate all’amica e discepola Agnese di Praga, Chiara parla di un adornarsi che può richiamare l’abito nuziale di cui la parabola di Matteo invita a rivestirsi. La Damianita usa una metafora tipicamente medievale parlando di Gesù Cristo come lo specchio al quale guardare per trasformarsi in Lui, per assumere la sua forma: « In esso scruta continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno, vestita e avvolta di variopinti ornamenti, ornata insieme con i fiori e le vesti di tutte le virtù, come conviene a figlia e sposa amatissima del sommo Re » (4LAg 15-17: FF 2902). Anche Chiara, concordando con la letteratura dei Padri, riconosce nella virtù la manifestazione di quella adesione a Dio che parte dal cuore: « Amandovi a vicenda nella carità di Cristo, dimostrate al di fuori con le opere l’amore che avete nell’intimo » (TestsC 59: FF2847).

Orazione finale

Davvero, o Dio, tu hai preparato per noi una mensa stupenda, una festa meravigliosa. Parteciparvi sarà la nostra eterna gioia. Ti ringraziamo per l’invito che rivolgi proprio a tutti e ti preghiamo perché ciascuno sia pronto con i fianchi cinti, i sandali ai piedi. Sarà la tua Pasqua, o Signore!
Amen.

Pensiero del giorno

dal 2 al 8 ottobre

Testi liberamente tratti dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori - 2003

Tau geranio

Tau prodotto e decorato a mano dalle Sorelle Clarisse di Farnese

LA DIMENSIONE ANTROPOLOGICA

DELLA VOCAZIONE CRISTIANA


LA VOCAZIONE DELL’UOMO ALL’INCONTRO CON L’ALTRO

L’uomo è considerato dalla tradizione antropologica occidentale essenzialmente come persona. Il concetto di persona rimanda al carattere relazionale dell’essere umano. L’uomo non trova in se stesso la propria ragion d’essere, né la sua completa realizzazione. Già per la corporeità che la connota, la persona umana è presente al mondo e ai suoi simili in un rapporto di reciprocità. Per questo l’uomo si ritrova al centro di una rete di relazioni, che va dall’ambiente in cui vive, agli altri uomini, alla dimensione trascendente. Il tipo di questa dimensione relazionale della persona è la relazione uomo-donna. È proprio attraverso questa fondamentale relazione che la persona si scopre chiamata alla reciprocità, al dialogo, all’incontro con l’altro. La dimensione sessuale assume così il valore peculiare dell’incontro e dell’integrazione con l’altro-da-sé.
Tanti dati positivi non possono non tener conto di quanto, nella medesima persona, contrasta in vario modo con quest’apertura e capacità di relazione. La stessa persona, fatta per la relazione, si ritrova spesso a vivere per se stessa, quando non nel conflitto con l’atro. Una mancata integrazione dei vari aspetti della personalità, fa sì che l’uomo sperimenti dolorosamente una divisione in se stesso, tra ciò che vede e riconosce come bene e ciò che contraddice questa sua aspirazione. In questa prospettiva antropologica, dalla quale ne deriva una di tipo pedagogico, si evidenzia anche il valore positivo del concetto di “crisi”. Essa può essere, infatti, proprio un’occasione positiva per integrare il proprio vissuto in un contesto di crescita.


LA VOCAZIONE DELL’UOMO ALL’INCONTRO CON IL DIO DI GESÙ CRISTO

Nella visione giudaico-cristiana l’essere umano è considerato ‘a immagine e somiglianza’ di Dio, capace di conoscere e amare il suo Creatore. Costituito dalla relazione fondamentale con Dio, esso è il ‘tu di Dio’. Per avere una buona conoscenza dell’uomo, dell’uomo autentico è necessario conoscere prima Dio stesso e per conoscere Dio è necessario conoscere l’uomo.
L’immagine è la dimensione incancellabile che rimane in chiunque, anche in colui che nega Dio; la somiglianza è l’elaborazione che ogni uomo compie in fedeltà alla grazia sull’immagine divina che è in lui. Noi rimaniamo sempre ‘ad immagine’, mentre diventiamo ‘a somiglianza’. Qui troviamo la radice della vita secondo lo Spirito e dell’agire morale dell’uomo nuovo in Cristo. L’uomo che vuole comprendere se stesso deve avvicinarsi a Cristo, deve appropriarsi della realtà dell’incarnazione e redenzione per ritrovare se stesso.
Al centro del cammino formativo sta la forma di vita di Gesù Cristo, storia di libertà che dischiude ad ogni uomo la possibilità di essere persona in pienezza. La forma di vita di Gesù Cristo culmina nel dono pasquale di sé, che ne svela il senso ultimo, mentre apre all’uomo la via dell’amore oblativo. La forma di vita di Gesù fonda l’antropologia cristiana sui rapporti nuovi inaugurati dall’agape. Si tratta dell’amore maturo, capace di amare l’altro non per i propri fini, ma per promuoverlo nella sua crescita: un amore che è dono di sé senza riserve per la relazione con l’altro e la valorizzazione dell’altro: conduce a ridurre l’orizzonte del proprio io, che tende ad affermarsi a scapito dell’altro.



LA VOCAZIONE DELL’UOMO ALLA LUCE DELL’ANTROPOLOGIA FRANCESCANA

Il ruolo dell’uomo è centrale nella visione di San Francesco: non si parla mai di Dio senza che, allo stesso tempo, appaia la figura del suo partner umano, come se fosse impossibile incontrare l’uno senza l’altro. Questa relazione è centrata intorno al mistero della Trinità, in cui si rivela il dono che Dio fa di sé alla creatura nella forma della comunione. Un Dio che si dona completamente, si riveste di debolezza e povertà, nel senso di apertura radicale all’altro.
La visione francescana dell’uomo è dinamica in ragione dell’opera dello Spirito santo, che conduce a pienezza il divenire ad ‘immagine e somiglianza’ di Dio inscritto nell’uomo sin dalla creazione e in vista di Gesù Cristo che si è incarnato. La visione francescana è relazionale, soprattutto in quanto considera l’uomo come fratello: è nel contatto vitale e segnato dall’apertura all’alterità che l’uomo compie e approfondisce il pellegrinaggio verso di sé, che altrimenti gli resterebbe precluso. La visione francescana dell’uomo è segnata dalla dimensione della minorità: per accogliere l’altro nella sua integrità, occorre restare dinanzi a lui con umiltà, stimandolo superiore a se stessi; promuovere l’altro vuol dire ascoltarne anche le zone più fragili, convinti che il cammino della crescita resta sempre aperto, anche nella debolezza della persona.
L’esperienza della ferita del peccato e della morte dà ragione della debolezza dell’uomo, che lo pone tra miseria e grandezza, tra il desiderio di Dio e la ricaduta in se stesso. La lotta perché nell’uomo risplenda l’immagine originaria è quel cammino di sequela e di progressiva assimilazione a Gesù Cristo che il percorso formativo intende favorire.



SPIRITO DI ORAZIONE E DEVOZIONE

La carità è l’anima di ogni formazione concreta, che trova nell’amore il suo principio unificatore: “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”(1Gv 4,16).
La vita nello Spirito può essere vista come un continuo slancio d’amore verso Dio ed i fratelli. Perché essa possa fiorire in pienezza ha bisogno del suo ‘spazio’, inteso anche nel senso di ‘tempo’ opportuno e sufficiente da dedicare alla preghiera in modo esplicito; secondo la tradizione cristiana, sarà necessario curare la preparazione alla preghiera.
Alcuni elementi della formazione alla vita nello Spirito che si rivelano fondamentali nel nostro tempo sono il favorire l’interiorità: il silenzio, la solitudine e la preghiera. Il formare al discernimento nella vita quotidiana: verificare l’autenticità della vita interiore; sperimentare la capacità di resistenza nelle difficoltà; la lettura nella preghiera delle proprie esperienze, in un profondo senso ecclesiale. Vivere una spiritualità di comunione, condividendo l’esperienza del Vangelo vissuto, gioie e fatiche, prove e frutti dello Spirito. Vivere il sine proprio con l’atteggiamento di Francesco che ha scelto ‘ciò che gli sembrava amaro’ e che poi gli si ‘cambiò in dolcezza di anima e di corpo’: accogliere i poveri, la compagnia delle persone che sono meno desiderate, l’uso intelligente del tempo, la sobrietà nei beni personali.



RAPPORTO CON SE STESSI

La serenità interiore è in relazione con la presenza nella persona di un quadro di valori, umani e cristiani che stimolano la crescita. La tensione verso i valori è da mettere in relazione con l’accettazione di sé, dei propri limiti e delle proprie capacità a diversi livelli (fisico, psichico e spirituale). A questa accettazione è connessa una giusta auto-valutazione sia per quanto riguarda i doni spirituali, che quelli naturali.
L’identità umana e cristiana va valutata come risultato dei valori perseguiti in rapporto al proprio essere attuale. Essa è visibile nella capacità di autonomia nello scegliere, nel ragionare, nel prendere posizione, nel saper parlare e ascoltare opportunatamente, nella sicurezza o nell’insicurezza (eccessive o calibrate). Può essere considerata l’unità interiore della persona, la sua capacità di integrazione. Ci si può chiedere se i vari aspetti della personalità sono in armonia o vi sono rotture, conflitti, se le diverse aree (fisica, sessuale, psicologica, sociale-relazionale, intellettuale, etica, spirituale) siano coinvolte armonicamente. Il tono emotivo di cui la persona gode (contentezza, depressione, euforia, lamentela, aggressività, tristezza) può essere indice del livello di integrazione spirituale e umana raggiunto.


MATURITÀ CRISTIANA

L’educazione della fede sviluppa in modo speciale la comunione con Dio, con gli altri, con la natura. Il nucleo centrale consiste in un itinerario in grado di far scoprire progressivamente la persona di Gesù Cristo, con il quale instaurare e approfondire una relazione profonda e personale, che continua il cammino di conversione permanente inaugurato nel Battesimo.
La relazione d’amore con Dio, scoperto in Gesù Cristo come Padre, abbraccia tutta la vita, chiamata a diventare ‘a lode della sua gloria’. La liturgia e la vita sacramentale costituiscono il luogo proprio di educazione ad una preghiera che voglia dirsi ed essere realmente cristiana. Si punta al superamento di forme individualistiche e intimistiche, per aprirsi al respiro ecclesiale e universale proprio della Liturgia. C’è una ricerca sapienziale e costante delle tracce della presenza di Dio nel fratello, nella natura, negli avvenimenti, nella storia personale. Si cerca una fedeltà graduale a tempi costanti di preghiera personale, l’iniziazione alla meditazione in particolare modo alla lectio basata sulla Parola di Dio, per sviluppare la capacità di ascolto e di risposta. Questa educazione alla preghiera aiuta la persona nella sua realtà di figlio di Dio nello Spirito Santo.



L’AGIRE NUOVO DEL CRISTIANO

Nel campo dell’educazione della fede, occorre far risaltare l’unità tra la dimensione teologale e quella morale: è l’agire della nuova creatura, che l’incontro con Gesù Cristo fonda ed illumina. La morale cristiana va colta come frutto ed espressione della grazia pasquale, a cui lo Spirito ci apre. Più che ad un progetto di autoperfezione morale ed ascetica, ci si introduce alla docilità nel riconoscere gli impulsi dello Spirito per seguirli. Si chiede di accompagnare la persona alla scoperta e alla pratica delle esigenze morali che scaturiscono dalla vita nuova del battezzato e che maturano la nostra umanità. Nel cammino dinamico della sequela si assume la forma di Gesù Cristo, entrando nei suoi sentimenti. In particolare risaltano alcune dimensioni:

La capacità di relazione e di comunicazione con gli altri nel rispetto delle diversità di ognuno; l’apertura a relazioni interpersonali gradualmente libere e mature.
Il senso ecclesiale di appartenenza alla grande comunità del popolo di Dio, mediante l’inserimento nella Chiesa.
La logica della croce, assunta come criterio per una sequela autentica e vissuta.
La compassione verso gli ultimi e i poveri, la solidarietà.
Il lavoro, che costruisce e trasforma il mondo e che mantiene la vita e l’ambiente naturale.

La dimensione cristiana esalta la centralità dell’agape e della sapienza della croce, capace di mostrare il volto esigente della sequela di Cristo. In questa dinamica pasquale si può passare ad una fede adulta e pensata, su cui innestare un autentico percorso interiore.



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