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  • Spunti di Riflessione: Davvero il Signore permette il male?
  • LECTIO DIVINA - 19 Aprile 2020 - Domenica della Divina Misericordia
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Dio è amore. Allora, perché il male?

«Per coloro che amano Dio, tutto concorre al bene» (Rm 8,28). Credere che la nostra esistenza sia insensatamente girovaga nell’immensità del tempo, abbandonata a una inerzia fatale, non è possibile a chi ha conosciuto il Dio rivelato da Cristo: il Padre amante degli uomini.
Se Dio non è il “grande burattinaio”, ma è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo che dona lo Spirito, cioè Dio agape dall’eterno, solo e sempre amore, il coronavirus non è un castigo di Dio, in quanto i castighi di questo vero Dio non esistono: Dio onnipotente nell’amore è radicalmente incapace di causare il male, in ogni sua forma, anche in quella virale. E poi, ecco la domanda radicale: cosa permette Dio? Il male, il dolore, la morte di tanti esseri umani? Assolutamente no! Dio permette la libertà dell’uomo, la libertà della sua creatura, la libertà dell’essere davvero “un figlio”, e non un manichino o un robot o un algoritmo. L’uomo è davanti a Dio come un partner libero di agire secondo sé (=la sua volontà) e non secondo i comandamenti di Dio, come il “codice” dell’Eden racconta per tutti (credenti e non credenti). Pertanto, la questione di Dio all’origine è la seguente: è bene che Dio abbia creato l’uomo libero o no! Forse doveva “farlo” (manu-fatto) come noi costruiamo i nostri computer intelligenti, piuttosto che “crearlo generandolo” come figlio nel Figlio? Poi, Dio permette l’autonomia delle realtà terrestri, perché in essa il gioco della libertà umana attivi processi di amore, cioè di compimento della libertà e di piena umanizzazione. Che c’entra la volontà di Dio con tutti i disastri ambientali, con i cambiamenti climatici, con le eco mafie che hanno avvelenato i nostri mari, con la smania dei potenti di espandere il loro dominio in tutte le inutili stragi delle guerre?
Diremmo allora che il coronavirus è frutto esclusivo dell’impatto antropico, dell’agire libero (e spesso libertario) dell’uomo? È la libertà dell’uomo la fonte di ogni male nel mondo? Rispondere positivamente a questa domanda seria è istintivo, ma anche molto superficiale. Non dobbiamo fermarci alle apparenze e scavare in profondità. Siamo persone intelligenti, proprio per leggere dentro le cose, gli avvenimenti (intus-legere).
Potremmo ragionare così: il male che circola nel mondo non è “causato da Dio” e rigorosamente “nemmeno dalla libertà degli esseri umani”, piuttosto dalla “non-libertà degli esseri umani”,cioè del loro arbitrio ignorante e arrogante, superbo e saccente, tracotante, dal loro delirio di onnipotenza. Sempre con le parole di Camus: «Il vizio più disperato è quello dell’ignoranza che crede di sapere tutto e che allora si autorizza a uccidere». La schiavitù del vizio e non la libertà degli esseri umani è la causa diretta di ogni male nel mondo, anche della pandemia del coronavirus, senza qui inoltrarci in teorie generali di complotto politico ed economico internazionale.
Dovremmo allora recuperare le virtù umane (tutte le virtù), come anticorpi, perché la nostra libertà venga aiutata a liberarsi ed essere libera di agire, cioè di fare il bene, di costruire e tessere relazioni di amicizia, di fraternità, di solidarietà, di pace e giustizia per tutti. E questo dovrebbe anzitutto comprenderlo l’Europa dei popoli e delle persone, in faccia all’Europa degli individui e degli interessi finanziari delle grandi lobby e dei sempre più pochi ricchi del “bel pianeta blu”.

Vescovo di Noto

LECTIO DIVINA

19 Aprile 2020
II Domenica di Pasqua
Domenica in albis o della Divina Misericordia

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In questa Domenica seconda di Pasqua le Letture previste dalla Liturgia ben ci descrivono quella Misericordia che da alcuni anni in questo giorno ormai si celebra: è la misericordia di Dio, il suo amore fatto evidente sulla croce, manifestatosi "invincibile" con la risurrezione da morte, perché più forte di qualunque genere di morte è l’amore che Dio ha per noi.

Dagli Atti degli Apostoli At 2, 42-47

Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.
43Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.
44Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; 45vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzandoil pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

Il libro degli Atti degli Apostoli nel suo complesso unisce memorie storiche sulla diffusione del cristianesimo delle origini a una riflessione teologica sulla Chiesa di Cristo.
Alla fine del secondo capitolo l’autore sacro –tradizionalmente identificato con l’evangelista Luca – ha inserito un “sommario”, il primo di una serie con cui vuole illustrare la vita della prima comunità. Ci presenta quelle che considera le quattro colonne spirituali che la reggerebbero: l’insegnamento degli apostoli, la comunione nei beni, la celebrazione eucaristica in memoria di Cristo (lo «spezzare il pane»: 2, 42.46) e la preghiera nel tempio.
Quale messaggio per la Chiesa di oggi dalla scenetta (secondo alcuni utopica) che questa pagina degli Atti ci presenta? È detto esplicitamente che i credenti erano perseveranti nella preghiera e si amavano con semplicità di cuore: la testimonianza semplice perseverante ha una sua forza attrattiva, l’amore “evidente”, la preghiera “feriale” sono quei veri prodigi e segni che convincono e rendono palese la credibilità del Vangelo per chi è sinceramente alla ricerca della verità.

Dalla Prima lettera di san Pietro apostolo 1Pt 1, 3-9

3Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, 5che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell'ultimo tempo.
6Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po' di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell'orodestinato a perire e tuttavia purificato con fuoco , torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. 8Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

La cosiddetta prima lettera “di” Pietro – attribuita di recente piuttosto a discepoli del grande Apostoloè stata scritta quasi sicuramente a Roma ed era destinata ai cristiani dell’Asia Minore «afflitti da varie prove» (1, 6). Anche quest’opera, come gli Atti degli Apostoli, ci parla della Chiesa delle origini, e ce ne parla come del popolo che Dio si è acquistato, sparso per il mondo e insieme pellegrino verso il Cielo, dove per esso è conservata una eredità che non si corrompe.
Il brano odierno ci conferma in quella speranza che ha la forza di rimanere viva perfino in mezzo ad una tempesta di persecuzioni, come quella che si era scatenata sui fedeli destinatari del messaggio petrino.
La sofferenza fa parte della vita, della vita di ciascun essere umano. Non solo le persecuzioni che possono venire dichiaratamente in odio alla fede ci possono far patire: la lettera di san Pietro apostolo parla di varie prove, fra le quali potremmo includere idealmente tutte quelle che a ciascuno capita di attraversare nel corso della propria esistenza terrena. Tutte ci pongono degli interrogativi, provocano ansie, suscitano a volte dubbi, mettono complessivamente in questione ciò in cui crediamo. Ci mettono in crisi, ma le crisi non sono inutili. La risurrezione di Cristo, che in questa Pasqua liturgica ancora celebriamo, grida che mai tutto è finito per sempre, neanche quando la morte può far declinare al passato la fiducia che avevamo, come Domenica scorsa i discepoli di Emmaus: «speravamo…» (Lc 24,21). E neanche il male più grande ha l’ultima parola: infatti nessuno potrà commettere qualcosa di più orribile di ciò che ha già commesso, cioè uccidere il Figlio di Dio. Lui è risorto e ci dice che più forte della morte è l’amore: sia benedetto Dio Padre, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti! Più forte di qualunque genere di morte è l’amore che Dio ha per noi. Per noi: per tutti e per ciascuno. E ciò ci ricolma di gioia, di una gioia indicibile (v. 8).

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 20, 19-31

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Nel vangelo secondo Giovanni – che alcuni Padri della Chiesa antica consideravano il più “spirituale” tra i vangeli – possono essere riconosciute due larghe parti, soprannominate da alcuni studiosi “Libro dei segni” la prima (che includerebbe i primi dodici capitoli) e “Libro dell’ora” la seconda (l’ora della Passione, morte e risurrezione del Signore).
Gli episodi di oggi segnano proprio la fine del “Libro dell’ora”: in due scene differenti ma collegate tra loro ci viene narrata la “Pentecoste giovannea” e l’apparizione del Risorto all’apostolo Tommaso.
All’inizio Tommaso non era con loro in casa, quando gli altri ricevono lo Spirito Santo. Come mai? Unico assente. Autoescluso? Tommaso – che era e rimaneva uno dei Dodici – era soprannominato Dìdimo, nome che vuol dire “gemello”. Tommaso è un gemello. Tommaso “ha” un gemello, qualcuno che guardandolo potrebbe riconoscere – nel suo – il proprio volto. Qualcuno di cui – al vederlo accanto a lui – si direbbe: «Due gocce d’acqua!». Tommaso fatica a credere alle parole dei suoi fratelli, degli altri apostoli. Ma Tommaso ha un gemello. Tommaso era solo fuori casa? Fu il solo a dubitare? Chi è il gemello di Tommaso? Non potrei essere io? Non potresti essere anche tu? Non sei mai stato anche tu “fuori casa”? Hai mai provato a guardare la realtà dal punto di vista di quest’uomo, forse deluso da tante esperienze altre, che già lo avevano illuso? L’apostolo che trova il coraggio di dire ad alta voce la sua fatica a credere a ciò che non è evidente, riceverà la risposta del suo Signore:«Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Non ha condannato il discepolo per la sua lentezza, ma gli ha palesato la beatitudine della fede, già pronta per chi non attende di “vedere”.
Ancora oggi la santa Chiesa è chiamata a farsi compagna di viaggio dei fratelli che stentano. Deve annunciare sì«Abbiamo visto il Signore!», anche però mostrare a volte «il segno dei chiodi», perché così Gesù quel giorno si è degnato di fare. Ad una comunità di battezzati che “dice”, “ogni Tommaso” chiede che glielo facciano “vedere” e “palpare”. Chiede l’esempio dei testimoni nella fede che già nei secoli hanno “mostrato” con la loro vita la risurrezione di Cristo, la bellezza e verità del suo Vangelo.È strano che Tommaso per credere chieda di vedere non lo splendore della risurrezione, quanto i segni della Passione!? Una Chiesa che sa soffrire con chi soffre, può mostrare l’evidenza di un amore che lascia il segnoe riapre le porte (v. 19.26) a chi in casa non c’è rimasto sempre.



Commento patristico
Dai Discorsi di san Giovanni Crisostomo, vescovo Om. sugli Atti 4, 6

Cristo è risorto e si mostra ai suoi discepoli: ma proprio tra di loro ve ne fu uno incredulo, cioè Tommaso chiamato Didimo, e per credere gli fu necessario mettere le mani nell'impronta dei chiodi, gli fu necessario toccare il suo costato.
Ma che dico di Tommaso? Ne parlo perché tu sappia e osservi attentamente che neppure gli altri discepoli hanno creduto a prima vista.
Tuttavia non osare di condannarli: se Cristo non li ha condannati, non farlo neanche tu. Essi si trovavano dinanzi a un fatto meraviglioso e inusitato: il primo che risuscitava dai morti.



Commento francescano
Dallo Specchio di perfezione 80: FF 1775

Consoli pietosamente gli afflitti, giacché egli è l'ultimo rimedio per i tribolati, affinché, venendo a mancare presso di lui le medicine per la sanità, il morbo della disperazione non prevalga nei malati. Per piegare a mansuetudine i protervi, umìli fino a terra se stesso e rinunci a qualcosa del suo diritto, pur di salvare un'anima. Riversi un'immensa comprensione su quelli che abbandonano l'Ordine, come per delle pecorelle sperdute, e mai neghi loro misericordia, consapevole di come sono forti le tentazioni che possono spingere a tale passo. Se il Signore permettesse che vi fosse soggetto lui stesso, forse precipiterebbe in un abisso più profondo.



Orazione finale
Da una preghiera di S. E. Mons. Emidio Cipollone

Grazie, Signore Gesù,per averci dato san Tommaso!
Uno come noi.
Uno che non si accontenta delle certezze degli altri
e che non accetta – a scatola chiusa – le tranquillizzanti risposte altrui.
Uno che non si ritiene soddisfatto per quello che hanno scoperto i suoi amici.
Uno che resiste e che ha delle esitazioni.
Uno che tarda ad arrendersi e che ha bisogno della tua infinita pazienza…
Ma che, proprio attraverso questo lungo e tormentato itinerario
- illuminato e guidato dallo Spirito -
scopre, alla fine, l’atteggiamento più giusto e trova le parole più semplici e più belle
per dire la cosa più grande: “Mio Signore e mio Dio!”.
Grazie, Signore Gesù, per questo Santo
che ha sperimentato su di sé la tua predilezione per gli ultimi:
è giunto dopo tutti gli altri apostoli a riconoscerti
ma, anche lui, è arrivato a contemplare i “segni dei chiodi”,
cioè l’evidenza di un amore che arriva fino in fondo
e che non viene mai meno.
Grazie, Signore Gesù!
La protezione e l’intercessione di san Tommaso
guidino ognuno di noi alla contemplazione del tuo volto
e alla gioia dell’incontro con te
perché tutti, insieme con lui, possiamo dire:
“Mio Signore e mio Dio!”.
Amen.



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