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NEWSLETTER n° 6 - 21 febbraio 2020

  • IL POEMA DELLA QUARESIMA - David M. Turoldo
  • LECTIO DIVINA - 23 Febbraio 2020 - VII Domenica T. O. / A
  • LECTIO DIVINA - 26 Febbraio 2020 - Mercoledì delle Ceneri

Il poema della Quaresima

quaresima
Mi sembra di essere entrato in un mare di profondità senza misura, e di bellezza compatta e inesauribile. Mi riferisco al poema della Quaresima che la Chiesa comincia a dispiegare quotidianamente nella sua liturgia, straripando poi nel tempo di Passione, per finire con la grande settimana in cui «tutto avrà compimento »; con la settimana che riprenderà la prima epoca del mondo e dalla quale uscirà una «nuova creazione». Settimana che sarà paradigma ed emblema per ogni tempo dell’anno: perché dopo, ogni domenica sarà sempre Pasqua; e ogni lunedì sarà un lunedì santo, in cui Dio per mezzo del Verbo continua «a creare tutti questi beni e li santifica, dà loro la vita, li benedice per farcene dono»; e ogni martedì sarà appunto un martedì santo; così per tutti gli altri giorni. Una settimana e un tempo che sarà il cardine del mondo anche fisico. Perché, secondo la liturgia, non è l’uomo che rotea intorno ai cieli, alle costellazioni; è il sole e sono le costellazioni e i cieli che roteano intorno all’uomo.
Del resto, l’Uomo, il protagonista di questo poema, è Cristo, il Verbo per il quale «tutto è stato creato e niente di quanto esiste può esistere senza di lui» (Gv 1,3). Si tratta dunque di un poema cui veramente «ha posto mano e cielo e terra».
Anche a prescindere da ogni altro tempo liturgico (ciò non è possibile perché tutto nella liturgia è unitario e compatto, e la preghiera è sempre un fatto totale, e il sacrificio è sempre uno e ogni tempo è tempo sacro), anche a prescindere, per ipotesi, e isolare la Quaresima, essa si presenta come un poema finito, completo, come un cerchio di perfezione i cui confini sono la morte e la vita del mondo intero, dell’uomo singolo e di tutta l’umanità, della natura e della sopranatura, del tempo e dell’eterno.
Il ciclo prende l’avvio da una cospersione di cenere che ti cala sul capo ricordando che tu, uomo, chiunque tu sia, sei polvere e che in polvere ritornerai; e finisce con un grido di vittoria, inaudito prima dell’avventura del Cristo: «Perché cercate tra i morti Colui che vive? Gesù, l’Uomo- Dio, è risorto e vi precede sulle vostre stesse strade » (cf. Le 24,5-6); cioè finisce con il trionfo della vita sulla morte, con la frontiera della morte spezzata, spostato oltre la tomba il confine della vita. Nessuno vuole morire; perché siamo nati per la vita e non per la morte. Così la stessa morte è assorbita in vittoria, cioè la morte stessa cambia volto e essenza.

David Maria Turoldo

LECTIO DIVINA

23 Febbraio 2020
VII Domenica T. O. / A
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Lv 19,1-2.17-18; Sal 102(103); 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48



Nella liturgia di oggi si prosegue il discorso di Gesù sul monte delle beatitudini. Nel regno che Gesù è venuto a inaugurare, il credente è chiamato a manifestare una qualità d'amore che è incompatibile con qualunque forma di violenza. In una comunità dove, con la scelta delle beatitudini, ognuno è chiamato a essere il responsabile della felicità dell'altro, la riconciliazione con i fratelli è pratica abituale che precede e condiziona il rapporto con il Signore.



Testo e commento alle Letture

Dal libro del Levitico (19,1-2.17-18)

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».

La prima lettura è tratta dal cap. 19 del Levitico, che è stato redatto dalla tradizione sacerdotale per il giudaismo dopo l'esilio.
Il versetto, che anticipa la novità del Vangelo è: "Amerai il tuo prossimo come te stesso".
Ricordiamoci che il prossimo per Israele è considerato solo l'appartenente a Israele, mentre per Gesù è allargato a tutti. Il comandamento di Gesù andrà ancora oltre: "Amatevi, come io ho amato voi!"
Nel brano del Levitico dice: "Siate santi, perché io, il Signore, sono santo".



Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (3,16-23)

Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani».
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Nell’Antico Testamento, il tempio era considerato il luogo nel quale dimorava la presenza di Dio.
Nel Nuovo Testamento, dopo la morte e risurrezione di Gesù, la comunità è “tempio di Dio”: una stupenda metafora per guardare in profondità alla realtà comunitaria. Appartenere ad una comunità costituisce un dono di Dio , un luogo specialissimo in cui ricerchiamo insieme la Sua presenza. Non è un dato irrilevante, scontato. Anzi, la comunità va costruita e non “distrutta” da personalismi, indifferenze, vane discussioni. I versetti precedenti colpiscono alla radice le divisioni personalizzanti. Dimora di Dio è il cuore dei credenti che diventa, così, il Suo tempio.
Il tempio di Dio è puro per la presenza costante dello Spirito Santo; occorre perciò che ogni credente si mantenga incontaminato.



Testo e commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo (5,38-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Porgere l'altra guancia è un detto universale, conosciutissimo, anche se - probabilmente - poco esercitato. Eppure non è il più scioccante del Vangelo, a paragone di un altro comando: "Amate i vostri nemici". Questo è davvero un unicum del cristianesimo. Gesù sta spiegando la giustizia del regno, finora inchiodata all'occhio per occhio dente per dente, mostrando che la più grande è quella che risponde al male con il bene, qualunque sia il torto. La legge del taglione per frenare la vendetta, sospendeva la violenza con una pena uguale a quella subita e tutto finiva lì. Noi vorremmo imparare da Gesù a riaprire la storia, ad offrire un'alternativa: non opporsi, porgere, lasciare, fare, dare, amare. Questo rende perfetti.
L’invito è a sgombrare dal cuore ogni timore per lasciare spazio unicamente all’amore di Cristo (3,14-15): un cuore libero dall’angoscia è già segno della differenza cristiana nella lotta contro il male perché il primo effetto del male è proprio la paura.
Nell’atteggiamento cristiano c’è, invece, tutto il coraggio di chi non teme il male né il malvagio, ma addirittura può anche pregare per lui.
C’è tutta la libertà di chi subisce il male dell’altro, ma sceglie di non farlo a sua volta. C’è un profondo amore per Dio e per il creato che arriva anche a trasformare il male in bene attraverso il dono e l’offerta di sé: l’altra guancia, l’altro abito, l’altro miglio insieme, il proprio denaro. Ecco allora che ‘amare il nemico’ diventa possibile e praticabile.
"Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48), possiamo, in primo luogo, dire che la perfezione di Dio è la sua misericordia. Allora anche l’uomo può essere perfetto se vive la misericordia. “La bontà e la perfezione si radicano sulla misericordia” possiamo affermare che la perfezione dell’uomo è la conquista della misericordia, e la misericordia è la sintesi della lieta, buona notizia portata del Redentore.
In secondo luogo, possiamo dire che la nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà che ci da indicazioni chiare: i comandamenti, per essere come Lui.
In terzo luogo, va ricordato che Cristo non ci chiede la perfezione nell’osservanza dei codici legali e dei regolamenti. Ci vuole perfetti, certo, ma nell’amore.


Commento patristico

San Cipriano scriveva che “alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo” (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).



Commento francescano RnB, IX

E si amino scambievolmente, come dice il Signore: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente come io ho amato voi». E mostrino con le opere l'amore che hanno fra di loro, come dice l'apostolo: «Non amiamo a parola né con la lingua, ma con le opere e in verità». E non oltraggino nessuno; non mormorino, non calunnino gli altri, poiché è scritto: «i sussurroni e i detrattori sono in odio a Dio».



Orazione finale

O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce, hai rivelato la forza del tuo amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e fa' che, accogliendolo, si spezzino in noi le catene della violenza e dell'odio che ci legano allo stile di vita di chi non ti conosce, perché nella vittoria del bene sul male manifestiamo la nostra identità di figli di Dio e testimoniamo il tuo vangelo di riconciliazione e di pace.


LECTIO DIVINA

26 Febbraio 2020
Mercoledì delle Ceneri
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Gl 2,12-18; Sal 50 (51); 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18



«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2). Ecco ora lo spazio di grazia che la Provvidenza ci offre attraverso la Liturgia della santa Chiesa, per ritornare a Dio e al nostro cuore (Gl 2,12), ad una più piena comunione con i fratelli nella fede e con l’intera umanità, redenta dal sangue di Cristo! Ecco il Tempo affascinante della Quaresima che da oggi, anche per quest’anno, ci accompagnerà per un itinerario di conversione, percorrendo alcune tra le più suggestive pagine delle Scritture! E Gesù continuerà a dire qualcosa di antico e sempre nuovo, ai suoi discepoli come a chiunque accetterà la “sfida” di mettersi in ascolto.


Testi e commento alle Letture

Dal libro del profeta Gioèle Gl 2,12-18

Così dice il Signore: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio.
Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. Radunate il popolo, indite un'assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo.Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: «Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti». Perché si dovrebbe dire fra i popoli: «Dov’è il loro Dio?».
Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo.

Quello del profeta Gioèle è un piccolo Libro, risalente al V o IV secolo prima di Cristo. Si apre con il racconto di un’invasione di cavallette, paragonate ad un esercito sterminatore, e la conseguente desertificazione dei campi colpiti.
Gioèle si fa voce della Parola del Signore che chiama a penitenza, come se la piaga riferita fosse segno dei peccati del popolo giunti al culmine. La risposta conclusiva riportata dal nostro brano è bellissima e sintetizza bene la tenerezza del nostro Dio: «Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo» (v. 18). Ammonendo a lacerarsi il cuore e non le vesti (v.13) il profeta aveva richiamato l’usanza, testimoniata ripetutamente nella Bibbia, di strappare le vesti in momenti drammatici di sofferenza, di scandalo, di penitenza. Questa – dice – è insufficiente. Il cuore: lì, e solo da lì, può partire un sincero cambiamento di mentalità, dal luogo cioè in cui simbolicamente risiedono aneliti e propositi, laddove si decide cosa mettere in opera nella vita. Non tanto il singolo peccato, quanto l’ostinazione del cuore, infatti, diventa l’ostacolo capace di bloccare un cammino.
All’inizio dell’iter quaresimale, accogliamo l’invito a partecipare anche noi a una assemblea liturgica solenne simile a quella a cui Gioèle chiamava vecchi e fanciulli, bambini lattanti e sposi, come a dire “tutti”, perché nessuno dovrebbe sentirsene escluso. “Tutti”, perché è ontologico, connaturale a qualunque uomo il bisogno di una salvezza che venga dall’Alto. L’atteggiamento di penitenza che la Prima lettura propone, può essere di stimolo anche per noi e il percorso che ci viene proposto nel Tempo della Quaresima dalla Liturgia può esserci di grande aiuto, per prendere coscienza ed aprirci all’accoglienza del perdono e della grazia della redenzione.



Dalla Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 2Cor 5,20-6,2

Fratelli, noi in nome di Cristo, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso». Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!

La cosiddetta Seconda lettera ai Corìnzi (probabilmente un’altra lettera, andata perduta, si collocava tra la Prima e questa) si fa risalire al 57 d. C., anche se la data è incerta. Paolo si rivolge a questa Comunità che, come figli verso un padre, tanto lo faceva tribolare.
La riconciliazione di cui parla si rifà ad un termine tecnico che ai suoi tempi si riferiva alla rappacificazione tra coniugi. Già nell’Antico Testamento si usava spesso l’immagine nuziale per indicare il rapporto tra Dio e il suo popolo. Ebbene, questo rapporto va risanato e l’iniziativa è sempre di Dio, che ci riconcilia a sé mediante il sacrificio di Cristo – fatto peccato in nostro favore (5,21) –, e nonostante qualunque demerito umano. L’uomo però, da parte sua, deve pur accogliere la grazia di Dio (6,1), che mai si impone.
Da questa Parola l’invito chiaro rivolto anche a noi a lasciarci riconciliare a nostra volta e farci poi ambasciatori (5,20), ciascuno secondo la propria particolare vocazione, perché in tanti abbiano la gioia di scoprire che anche per loro è arrivato il momento favorevole, il giorno della salvezza (6,2).


Testo e commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 6,1-6.16-18

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perchè la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Dopo la risurrezione di Gesù gli apostoli hanno trasmesso ciò che egli aveva detto e fatto e da una primitiva tradizione orale, a lente tappe, sono nati i Vangeli, che da prospettive parzialmente diverse ci raccontano l’unica Verità, della redenzione per noi operata dal Cristo.
Nel brano del Mercoledì delle Ceneri, tratto dal Vangelo secondo Matteo, le parole di Gesù sono un’esortazione alla preghiera autentica, a una carità sincera, ad uno spirito penitenziale che parta dal cuore: «Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba; quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che amano pregare per essere visti; quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano» (v. 2.5.16).
È un’esortazione valida sempre, valida per tutti i tempi, valida anche per noi. È un vero incoraggiamento alla semplicità, alla genuinità, alla profondità, all’autenticità, alla fiducia nello sguardo del Padre che è nei cieli, che sa arriva laddove lo sguardo umano non riesce a giungere, nel segreto della camera del nostro cuore (v.6). Difatti l’esteriorità dice qualcosa di noi, ci aiuta a conoscere e farci conoscere, ma non esaurisce mai “il tutto” che siamo. Ciò che si fa per amore supera sempre ogni esteriorità e comunque mai si compie per essere ammirati, per essere lodati, per essere visti (v. 1.2.5), ma… Per amore! E l’amore – pur non disdegnando di essere riconosciuto tale – va avanti comunque, “ostinatamente”, anche quando non è ammirato, lodato o visto.



Commento patristico

Origene, vissuto nella prima metà del III secolo, fu teologo autorevole e discusso a un tempo. Tra i suoi trattati, quello su La preghiera è uno dei più conosciuti. In questo caso si rivolge all’amico Ambrogio e a Taziana, probabilmente sorella di Ambrogio, per offrire loro una sorta di “guida pratica” al pregare. Nei capitoli XIX e XX del trattato rievoca ripetutamente il Vangelo nella pericope odierna per indicare quali debbano essere le predisposizioni alla preghiera e biasimare ogni forma di esibizionismo.

«Prestiamo particolare attenzione alle parole “per essere visti”, poiché nessuna cosa è bella solo per l’apparenza, come se esistesse solo in apparenza e non nella realtà. Ingannando l’immaginazione non ci rappresenta l’oggetto fedelmente e realmente. Come nei teatri gli attori drammatici non sono quello che dicono né quello che appaiono dalla maschera loro imposta, così anche tutti quelli che simulano colle apparenze la rappresentazione della bellezza non sono giusti, ama sono i buffoni della giustizia, che interpretano da soli la loro parte nel proprio teatro che sono le sinagoghe e gli angoli delle piazze. Chi invece non è ipocrita ma, deposto ogni estraneo manto, si prepara ad esser gradito nel suo teatro di gran lunga migliore di ogni altro, entra nella propria cameretta, dove ha rinchiuso un tesoro di sapienza e di scienza.
Dio come Padre non ci abbandona, essendo suoi figli, ma è presente nel nostro nascondimento e volge ad esso lo sguardo ed accresce la ricchezza della nostra cameretta, purché ne abbiamo chiusa la porta».
(Origene, La preghiera XX,2)



Commento francescano

Nella Vita Seconda del Celano dopo diversi capitoletti che raccontano, attraverso vari aneddoti, dell’odio di Francesco d’Assisi per la peste dell’ipocrisia, l’autore riporta le parole del santo che ben aiutano a comprendere quanto Gesù oggi intende dirci nel brano matteano:
«Nessuno deve lusingarsi con ingiusto vanto per quelle azioni, che anche il peccatore potrebbe compiere. Il peccatore spiegava può digiunare, pregare, piangere, macerare il proprio corpo. Ma una sola cosa non gli è possibile: rimanere fedele al suo Signore. Proprio di questo dobbiamo gloriarci, se diamo a Dio la gloria che gli spetta, se da servitori fedeli attribuiamo a lui tutto il bene che ci dona.
La carne raccoglie lode dalle virtù e plauso, da parte della gente, dalle veglie e dalle preghiere. Niente lascia all’anima e anche dalle lacrime cerca profitto».
(Vita Seconda di Tommaso da Celano XCVII: FF 718)



Orazione finale

Signore Gesù, tu ci insegni cosa è gradito al Padre, come curare la nostra relazione con lui, come vivere un’esistenza vera, nella semplicità del Vangelo che ci hai annunziato. Guidaci per le pagine delle Scritture e della nostra storia, per incontrarti e poter testimoniare a tutti la gioia del saperci salvati dal dono della tua vita che tu hai fatto per noi. Amen.
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