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NEWSLETTER n° 16 - 1 novembre 2017

Prossimo incontro di preghiera nella chiesa del nostro Monastero:

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Per la Quaresima il Monastero propone gli Esercizi spirituali aperti a tutti:

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LECTIO DIVINA

5 novembre 2017
XXXI Domenica del Tempo Ordinario / A
XXXI
Ml 1,14b -2,2b.8-10; Sal 130,1-3; 1Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12



Le letture della XXXI Domenica del tempo ordinario ci invitano a riflettere se ci appropriamo dei ruoli, dei servizi svolti per il bene comune oppure svolgiamo tutto nella carità di Cristo. La via indicata da Gesù è servire senza spadroneggiare sui fratelli come fanno gli scribi e i farisei che dicono agli altri cosa devono fare e loro non operano ciò che comandano.

Commento alle letture

Nella prima lettura troviamo il profeta Malachìa che condanna non i grandi atti di tradimento ma i piccoli gesti quotidiani con cui, con furbizia, si inganna la fiducia del prossimo. Occorre insegnare la verità e la rettitudine morale, non usare parzialità nell’applicazione della legge, agire con trasparenza e pacificamente: sono questi alcuni richiami forti che il testo del profeta pone alla nostra attenzione, perché ne facciamo tesoro tutti. Malachìa ci ricorda anche che questo modo evangelico di fare ci predispone a compiere cose più grandi. Perché ci inganniamo?: “Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro”? (v. 10).

Nella seconda lettura san Paolo ci descrive quello che dovrebbe essere il comportamento del vero cristiano. Paolo, perfetto imitatore di Cristo, svolge un servizio materno, pronto a dare la vita per i suoi fratelli: “Avremmo desiderato trasmettervi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (v.8). La comunità cristiana è allora il luogo dove l’esperienza di Dio e l’ esperienza della fraternità determinano e plasmano il modo di agire, di vivere, di relazionarsi reciprocamente, in un’atmosfera di famiglia.

Commento al Vangelo

Il brano evangelico di Matteo di oggi è l’inizio dell’ultimo discorso pubblico di Gesù in cui rivolge una denuncia nei confronti dei responsabili della comunità giudaica, scribi e farisei, i quali danno ordini agli altri e a loro piace solo di essere riconosciuti maestri e guide. Gesù esorta a non imitarli: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno” (v.3). Può sembrare che questo discorso non ci riguardi e non ci coinvolga direttamente, invece ci interpella perché ognuno di noi è maestro/padre e allo stesso tempo è discepolo/figlio, è capo e guida in famiglia, sul lavoro e nei vari ambienti della vita quotidiana. Allora l’ammonimento di Gesù è rivolto anche a noi. Fariseo è ognuno di noi quando riduce il Vangelo all’apparire più che all’essere, al dire più che al fare, alla legalità più che alla moralità interiore, alle opere della legge più che alla fede che vivifica le opere, al compromesso accomodante più che alla testimonianza coraggiosa, alla glorificazione del proprio io più che alla gloria di Dio. Anche noi possiamo trovarci nella condizione di coloro che dicono e non fanno, infatti quante ‘prediche’ facciamo agli altri e poi siamo noi i primi a non vivere quello che raccomandiamo. Siamo tutti fratelli ci ammonisce Gesù, tutti salvati, tutti perdonati ed in questo popolo di salvati ognuno ha un ruolo, un compito, un ministero. Accogliamo l’invito di Gesù a non consideraci superiori agli altri ma mettiamoci a servizio dei fratelli per amore di Dio. “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato” (v. 12): in questa Chiesa sarà allora bandita la presunzione e si vivrà nella più completa fratellanza.

Commento francescano

San Francesco esortava i suoi frati a non esaltarsi e a non gloriarsi di nulla, infatti diceva: “Scongiuro, nella carità che è Dio, tutti i miei frati occupati nella predicazione, nell’orazione, nel lavoro, sia chierici che laici, che cerchino di umiliarsi in tutte le cose, di non gloriarsi, né di godere tra sé, né esaltarsi dentro di sé delle buone parole e delle opere, anzi di nessun bene che Dio fa o dice e opera talvolta in loro e per mezzo di loro” (Rnb cap. XVII, FF 47). “ Di tutte le virtù è custode e decoro l’umiltà, se questa non è messa come fondamento dell’edificio spirituale, quando esso sembra innalzarsi si avvia alla rovina” (2Cel cap CII, FF 724).

Orazione finale

Donaci Signore un cuore umile e povero capace di riconoscere che tutti i doni e tutti i benefici che tu operi in noi sono per il bene dei nostri fratelli, insegnaci a non esaltarci per ciò che compiano e a non spadroneggiare su coloro che tu ci affidi. Per Cristo nostro Signore.

Pensiero del giorno

dal 23 al 29 ottobre

Testi tratti dal libro "Mostrami il tuo volto" di P. Ignacio Larranaga
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LA FEDE


IL DRAMMA DELLA FEDE
Contemplando nella Bibbia il cammino del popolo verso Dio nell’approfondimento, nello schiarimento e nella purificazione della sua fede, costatiamo con evidenza quanto è lunga e difficile la via che conduce al mistero di Dio: la via della fede. E non solo per Israele; anche e soprattutto per noi. Ogni giorno vediamo lo scoramento, l’incostanza e le crisi che ci attendono a ogni angolo. E questo senza dimenticare che la fede, in se stessa, è oscurità e incertezza. Perciò parliamo di dramma.
Nell’entrare, dunque, in questo vero e proprio tunnel oscuro, dobbiamo ricordarci il coraggioso invito di Gesù: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta» (Lc 13,24).

LA PROVA DEL DESERTO
In diversi momenti, i testi del Concilio Vaticano II ci invitano alla consapevolezza di vivere la fede come una peregrinazione (LG 2,8,65), per lo più facendo espresso richiamo alla traversata di Israele nel deserto. Certamente quella marcia costituì la prova del fuoco per la fede di Israele nel suo Dio. Tuttavia, se da quella prova uscì fortificata la fede del popolo nel suo Dio, la lunga peregrinazione fu colma di adorazioni e bestemmie, sottomissione e ribellione, fedeltà e diserzioni, acclamazioni e proteste.
Tutto ciò è un simbolo reale delle nostre relazioni con Dio mentre siamo “in cammino”; soprattutto (ciò è quanto ci interessa mettere in rilievo) è il simbolo delle esitazioni e delle perplessità che subisce ogni anima nella sua ascensione verso Dio, in special modo nella sua vita di fede. Poche persone, forse nessuna, sono rimaste libere da tali mancamenti. La Bibbia ce ne da indubitabile prova.

Nuove prove in nuovi deserti

Se fu sempre aspra e difficile la via della fede, oggigiorno le difficoltà sono aumentate. La Chiesa sta attraversando un nuovo deserto. Le minacce che incombono sui pellegrini sono le stesse degli anni trascorsi: avvilimenti per eclissi di Dio, apparizioni di nuovi “dei” che pretendono adorazione, e tentazioni di interrompere l’aspra marcia della fede, per far ritorno nel confortevole “fertile Egitto”.

IL SENSO DELLA VITA
Né la tecnologia né le scienze socio-psicologiche riusciranno mai a dare la risposta esatta al problema fondamentale e unico dell’uomo: il senso della vita. Soltanto quando l’uomo si imbatte nel suo proprio mistero, quando sperimenta fino alla vertigine la stranezza di “stare qui”, di essere al mondo come coscienza e come persona, solo allora affronta gli interrogativi centrali: chi sono io? Qual è la ragione della mia esistenza? Da quale fonte sono scaturito? C’è un avvenire per me, e quale?
Oggigiorno non si fanno più campagne contro Dio a base di argomenti e di passione. Semplicemente si prescinde da lui, lo si tralascia come un oggetto che non serve più. E’ come un ateismo pratico, più pericoloso di quello sistematico , perché isterilisce inavvertitamente i riflessi mentali e i moti della vita.
Il periodo di prova che stiamo attraversando aiuterà a purificare l’immagine di Dio. La fede, come dice Martin Buber, è un’adesione a Dio, ma non un’adesione all’immagine che uno si è formato di Dio, nemmeno un’adesione alla fede “del” Dio che uno ha concepito, bensì adesione al Dio vivente.

IL PREZZO DELLA FEDE
Sono accettate, oggi, come criteri di vita, l’immediatezza, l’efficacia, la rapidità. In contrasto, la vita di fede è lenta ed esige una costanza sovrumana; il suo progredire è instabile e non lo si può comprovare con metodi rigorosi di riflessione. Di conseguenza ci sentiamo impoveriti, confusi e come smarriti in una selva.
Sotto l’influenza delle scienze psicologiche e sociologiche, oggigiorno prevalgono i criteri soggettivi. Ciò che era oggettivo come le verità di fede, le norme della morale o dell’ideale, hanno perso attualità e valore cedendo il passo ai dati personali e istintivi. Oggi è di moda l’emozionale, l’affettivo, lo spontaneo.
Ne deriva la totale svalutazione di certi criteri come il dominio di se stessi, l’ascesi, il superamento, la privazione, elementi indispensabili nella marcia verso Dio. Tali concetti e parole a molti suonano perfino ripugnanti; come minimo li ritengono pregiudizievoli per lo sviluppo della personalità. La comodità è diventata suprema norma di comportamento.
Questa nuova forma di condotta coincide in tuto con l’ideale della società dei consumi: trarre il massimo dalla vita, consumare il maggior numero di beni, concedersi tutte le soddisfazioni.
Oggi non sappiamo che farcene del silenzio. La società dei consumi ha creato l’industria dello svago e del divertimento per evitare all’uomo l’orrore del vuoto e della solitudine. In questo modo si colloca l’oggetto al posto del soggetto, non si sopportano le norme stabilite e si dà briglia sciolta allo spontaneismo, figlio del soggettivismo.
L’orizzonte è sempre più coperto di domande, di silenzio e di oscurità. E’ il prezzo della fede.
Stiamo vivendo in un tempo di purificazione. La fede è un fiume che avanza. Le impurità si posano nel letto del fiume, ma la corrente non si ferma.

AL DI LA’ DEL DUBBIO
Francesco d’Assisi fu un credente che godette per gran parte della sua vita della sicurezza luminosa della fede; tuttavia, alcuni anni prima di morire cadde in una cupa depressione che i suoi amici e primi biografi qualificarono come “gravissima tentazione spirituale”, e che durò all’incirca un paio d’anni. Sappiamo solamente che fu una continua agonia, nella quale il Poverello, apparentemente abbandonato da Dio, camminava tra le tenebre, tormentato da tanti dubbi ed esitazioni che quasi stava per disperarsi. Fu un’inquietudine di coscienza grave e invincibile e Francesco ebbe bisogno di un particolare intervento divino per uscirne.
Durante i primi anni della sua conversione, «il Signore gli aveva rivelato che doveva vivere secondo il santo Vangelo». Con la fedeltà di un cavaliere errante e con la semplicità di un bambino, Francesco seguì letteralmente testo e contesto del Vangelo lasciando il bastone, la bisaccia, i sandali (cf. Lc 9,3). D’allora in poi non toccò denaro. Non volle per sé e per i suoi possesso di conventi, case, beni. Volle che fossero pellegrini e stranieri in questo mondo, itineranti sulla terra intera, lavorando con le loro mani, mettendo ogni fiducia nelle mani di Dio, privi di lasciapassare e riconoscimenti pontifici ed esposti alle persecuzioni.
Li volle poveri, liberi e allegri. Non sapienti, bensì testimoni. Non occorrevano studi, biblioteche, titoli universitari; solamente il Vangelo da vivere semplicemente, pienamente, senza commenti, limitazioni e interpretazioni.
Simile “stile di vita”, rivelatogli personalmente dal Signore, attirò migliaia di fratelli nella nuova via. Ben presto però nel movimento francescano si produsse e cominciò a prevalere una vasta corrente di uomini che si vergognavano di essere poveri, piccoli, “minori” e volevano imprimere una diversa direzione all’incipiente (e già numerosa) fraternità. La corrente guidata dai “sapienti” e dallo stesso rappresentante del Papa, incoraggiava criteri diametralmente opposti agli ideali e alla “forma di vita” di Francesco:
Quelli dicevano: abbiamo bisogno di saggi e di gente ben preparata.
Francesco rispondeva: abbiamo bisogno di semplici e di umili.
Quelli esigevano: diplomi universitari.
Francesco contestava: solo il diploma della povertà.
Quelli reclamavano: grandi case per gli studi.
Francesco ripeteva: umili capanne per “passare” attraverso questo mondo.
Quelli affermavano: la Chiesa necessita di una potente e ben organizzata struttura di guerra contro gli eretici e i saraceni.
Francesco rispondeva: la Chiesa necessita di penitenti e convertiti.

LA RICERCA DELLA VOLONTA’ DI DIO
Francesco d’Assisi, un uomo che non era nato per governare e nemmeno per lottare, si trovò nel mezzo di una tormenta a dover difendere l’ideale evangelico.
Ma il centro del dramma era questo: mentre Francesco aveva l’assoluta sicurezza interiore che il Signore gli aveva rivelato, nella voce della Porziuncola, direttamente ed espressamente la “forma di vita” evangelica in povertà e umiltà, il rappresentante del Papa e i sapienti affermavano che la volontà di Dio, dalle necessità della Chiesa e dai “segni” dei tempi era quella di organizzare la fraternità sotto il segno dell’ordine, della disciplina e dell’efficacia.
Ecco il dilemma del suo conflitto profondo: a chi obbedire? Dove stavano effettivamente Dio e la sua volontà?
E in quel terribile momento in cui sarebbe stato necessario udire la voce di Dio, Dio taceva; e il Poverello si dibatté in una lunga agonia di dubbi e domande in mezzo a una completa oscurità. Che cosa vuole veramente Dio? Dicono che bisogna dare al movimento una struttura monacale o almeno conventuale, mentre il Signore mi ha ordinato di formare una fraternità evangelica di viandanti, penitenti, poveri e umili. Lo Stesso Dio ha potuto ispirare direzioni tanto contrarie? Dov’è Dio? A chi obbedire?
Non starebbe lui, Francesco, difendendo la “sua” opera invece di difendere l’opera di Dio? Egli era ignorante, gli altri erano saggi; la gerarchia pareva segnalare criteri contrari ai suoi. Era logico pensare che se qualcuno sbagliava questi doveva essere soltanto lui, l’insignificante Francesco. Ma allora, le voci di Spoleto, di S. Damiano e della Porziuncola erano stati allucinati deliri di grandezza? Dunque Dio non era mai stato con lui? Dio stesso era forse un’allucinazione irreale?
E il povero Francesco si rifugiava nelle grotte di Rieti, Cortona e La Verna; bussava alle porte del cielo e il cielo non rispondeva. Invocava piangendo Dio e Dio taceva. Perse la calma. Quell’uomo, l’anno prima tanto raggiante, diventò di cattivo umore. Cominciò a minacciare, a scomunicare. Tanto allegro sempre, si lasciò vincere dalla peggiore delle tentazioni: la tristezza.

LA NOTTE TRASFIGURATA
Francesco ebbe momenti in cui lo scoramento assunse altezze vertiginose come in quella notte che io chiamerei “la notte trasfigurata” di Francesco: nella capanna di S. Damiano soffrì tutti i dolori fisici immaginabili, ma era ancora il meno; un pungente e torturante dubbio sulla sua salvezza lo indusse a un acuto senso di disperazione. E finalmente, proprio in quella notte, il cielo parlò. Dio rivelò a Francesco che la sua salvezza era certa. Fu allora che compose l’inno più gioioso e ottimista che sia mai uscito da cuore umano: il Cantico di fratello Sole.

Come sparì la gravissima tentazione? Con un atto assoluto di abbandono, proprio come nel caso di Gesù e dei grandi uomini di Dio. Un giorno in cui era oppresso e piangente, udì una voce che diceva:

  • Francesco, se avrai fede come un granello di senapa, dirai a quella montagna che si allontani verso il mare e ti obbedirà.
  • Signore, che montagna è quella?
  • La montagna della tua tentazione.
  • Signore, - rispose Francesco – si faccia di me secondo la tua parola.
Quel giorno sparì definitivamente la tentazione. La pace ritornò nella sua anima, il sorriso sul suo volto, di nuovo e per sempre la gioia inondò la sua vita.


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