L’attivismo della nostra generosità superficiale rischia di compromettere l’opera di Dio in noi. L’efficacia dell’esperienza cristiana non ha a che fare con gli sforzi della nostra volontà, non è frutto del nostro lavoro ma ci è donata misteriosamente, talora a nostra insaputa. La differenza esistente tra un’ascesi pagana e un’ascesi cristiana è tutta qui: quest’ultima non può che essere un’ascesi di debolezza, cioè un’ascesi che ci porta ad attraversare quello che si potrebbe chiamare il ‘punto zero’ della nostra debolezza per aprirci alla grazia di Dio. Perciò il digiuno, la veglia, la solitudine, il silenzio non servono che ad una sola cosa: scavare sempre di più la nostra povertà davanti all’offerta di Dio. Ben lungi per essere l’occasione per gesti eroici di generosità, l’ascesi cristiana è destinata a diventare il luogo della nostra disfatta, nel quale solo la grazia di Dio trionfa. Il suo scopo è quello di mettere in evidenza la nostra debolezza affinché possa finalmente dispiegarsi la potenza della grazia. “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Ecco tutto il paradosso del Vangelo (da ‘Cantare la vita’ Andrè Louf, monaco).