LECTIO DIVINA – Domenica 24 Giugno 2018 – Natività di San Giovanni Battista

         

      Is 49,1-6; Sal 138; At 13, 22-26; Lc 1, 5-17

 

 

 

Giovanni, dall’ebraico Yehohanan, significa “Dio è misericordioso”, “dono del Signore”: noi sappiamo che il “dono” di cui il Battista fu messaggero e precursore, la “misericordia” che annunciò nel deserto e sulle rive del Giordano, è Yehoshu’a, Gesù, il “Dio che salva”. Per questo motivo alla nascita di Giovanni Battista – unico santo del quale, insieme al Salvatore e a Sua madre, si ricorda la Natività – è legata la tradizionale raccolta delle noci dal mallo ancora verde, dalle quali si ricaverà il “nocino”, liquore ricco di proprietà terapeutiche. La noce, simbolo di fertilità e di vita nelle culture pagane, diventa per i cristiani, secondo le parole di sant’Agostino, simbolo di Cristo: il mallo è la carne, amareggiata dal dolore, il guscio il legno della croce, il bianco gheriglio la sua anima. Dal “cuore” aperto di questo frutto sgorga un olio che alimenta la luce, una fonte di guarigione.

 

Testo e Commento alle Letture

 

Dal Libro del profeta Isaia (Is 49,1-6)

 

1 Ascoltatemi, o isole,

udite attentamente, nazioni lontane;

il Signore dal seno materno mi ha chiamato,

fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome.

2 Ha reso la mia bocca come spada affilata,

mi ha nascosto all’ombra della sua mano,

mi ha reso freccia appuntita,

mi ha riposto nella sua faretra.

3 Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,

sul quale manifesterò la mia gloria».

4 Io ho risposto: «Invano ho faticato,

per nulla e invano ho consumato le mie forze.

Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,

la mia ricompensa presso il mio Dio».

5 Ora disse il Signore

che mi ha plasmato suo servo dal seno materno

per ricondurre a lui Giacobbe

e a lui riunire Israele,

– poiché ero stato stimato dal Signore

e Dio era stato la mia forza –

6 mi disse: «È troppo poco che tu sia mio servo

per restaurare le tribù di Giacobbe

e ricondurre i superstiti di Israele.

Ma io ti renderò luce delle nazioni

perché porti la mia salvezza

fino all’estremità della terra».

 

Quando ripercorriamo la nostra vita con uno sguardo di fede, riconosciamo di essere stati amati e chiamati alla nostra personale missione fin dal concepimento: la nostra forza e la nostra sicurezza sono radicati nel Creatore come lo è il feto nel grembo materno. Annunciare la Parola di Dio, che è intrisa di verità, ci espone spesso a critiche, mormorazioni, derisione, indifferenza: essere, come furono Isaia e Giovanni Battista, “cerniere” fra Dio e il popolo, fra il “vecchio” e il “nuovo”, può dare spesso l’impressione di faticare invano. Il profeta, se getta l’ancora in Dio, sa che le sue parole e le sue azioni porteranno all’uomo un frutto di salvezza.

 

Dagli Atti degli Apostoli (At 13, 22-26)

 

22 E, dopo averlo rimosso dal regno, suscitò per loro come re Davide, al quale rese questa testimonianza: Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri.

23 Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore, Gesù. 24 Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di penitenza a tutto il popolo d’Israele. 25 Diceva Giovanni sul finire della sua missione: Io non sono ciò che voi pensate che io sia! Ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali.

26 Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata questa parola di salvezza.

 

Paolo si rivolge agli ebrei della sinagoga di Antiochia di Pisidia, nell’attuale Turchia, sintetizzando le origini della storia della salvezza. La “memoria” è un tema essenziale nella vita dell’ebreo, sia personale sia del popolo. Quanto sarebbe utile per ciascuno di noi recuperare questa dimensione, ripercorrere la storia della nostra famiglia, avventurarsi in una ricerca sulle vicende di genitori, nonni, bisnonni…per capire che la nostra esistenza non è frutto del caso, ma esito di una lunga vicenda di amore, fatiche, lavoro… E, contemporaneamente, riscoprire le origini della nostra fede ci riporta, cammin facendo, ad un Padre capace di immenso Amore.

 

Testo e Commento al Vangelo

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 5-17)

 

57 Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. 59 Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61 Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?».  E davvero la mano del Signore era con lui. 80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

 

Parenti e amici si affollano intorno a Elisabetta: il paese di Ain-karim è in subbuglio per la scelta del nome di questo bimbo partorito da genitori anziani, il cui padre è rimasto muto a seguito di un evento prodigioso avvenuto nel Tempio. Lo sconcerto e la curiosità sono giustificati, ma Elisabetta non si lascia fuorviare: nella confusione, lei è sicura che quel figlio sia un “dono di Dio”, una promessa di riscatto del Signore, per se stessa, in quanto donna condannata alla sterilità, e per il popolo. La vita nuova che è scaturita dal suo grembo invecchiato è prefigura del Nuovo Testamento, della nuova Legge che il Messia porterà al popolo, preceduto dal battesimo e dalla predicazione appassionata di suo figlio stesso. Per questo Elisabetta dice “no” alla tradizione, che vorrebbe dare al bimbo il nome del padre, e a quella stessa tradizione, che ha perso vitalità nel suo rapporto con il Signore, fa un dono: Giovanni, cioè “Dio è misericordia”, Dio è amore viscerale, appassionato, profondo.

Il mutismo del marito, appartenente alla classe sacerdotale, è l’incapacità di parlare dell’uomo religioso che non sa più ascoltare e Zaccaria, da vero uomo di fede, capisce la lezione e si converte: sulla tavoletta, che ricorda le Tavole della Legge mosaica, scrive il nome che Yahvè ha scelto per questo figlio della “transizione” dall’antica legge al nuovo comandamento dell’Amore.

 

Commento patristico

 

“Se Giovanni avesse annunziato se stesso non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1, 19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è voce per un po’ di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio” (dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo).

 

Commento francescano

 

Al momento della nascita, in assenza del padre Pietro Bernardone impegnato in un viaggio d’affari in Francia, San Francesco fu chiamato dalla madre “Giovanni” in onore di Giovanni Battista. Solo al ritorno del padre gli fu messo nome “Francesco”. Ricordando questo particolare, Tommaso da Celano, nella Vita seconda, paragonando la madre del Santo ad una nuova Elisabetta, scrive: “…il nome di Giovanni conviene alla missione che poi svolse, quello invece di Francesco alla sua fama, che ben presto si diffuse ovunque, dopo la sua piena conversione a Dio. Al di sopra della festa di ogni altro santo, riteneva solennissima quella di Giovanni Battista, il cui nome insigne gli aveva impresso nell’animo un segno di arcana potenza” (FF 583).

La storia dell’arte (Veneziano, Lorenzetti, Cima da Conegliano) raffigura spesso San Francesco accanto a San Giovanni Battista: entrambi, infatti, sono speciali “indicatori” del Cristo, amano la povertà e la penitenza e vivono quella che Francesco chiamava la “minorità”.

 

Preghiera finale

 

Dio, Padre di misericordia, che dalle origini hai chiamato ciascuno per nome, mantienici saldi nell’annuncio del tuo messaggio d’amore, umili nel portare agli uomini parole e opere di salvezza e di guarigione; aiutaci a non vacillare, sapendo che viviamo all’ombra della tua mano. Amen.

 

 

 

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