LECTIO DIVINA – 6 Maggio 2018 – VI Domenica di Pasqua / B

 

          

 

 

At 10,25-26.34-35.44-48; Sal 97/98,1-4 1Gv 4,7-10 Gv 15,9-17

 

Dio è Amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16).

Queste parole della Prima lettera di Giovanni, sono la sintesi della liturgia di questa VI domenica di Pasqua. Esprimono chiaramente l’immagine cristiana di Dio e nello stesso tempo esprimono la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino.

All’inizio del cammino dell’essere cristiano, non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’INCONTRO con una Persona, con il Signore Gesù, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la  direzione decisiva. 

 

Commento alle letture 

 

La prima letturatratta dagli Atti degli Apostoli, ci presenta Pietro che si accinge ad “entrare nella casa di Cornelio” (v. 25).

Ma chi era Cornelio? Per conoscerlo dobbiamo leggere i primi versetti del capitolo 10, che ce lo descrive, come un centurione romano, uomo pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia e pregava sempre Dio (cfr At 10,1ss.). Il capitolo prosegue descrivendo Cornelio che durante la preghiera delle tre riceve una visione di un angelo, che lo invia a chiamare Pietro, che si trovava a Giaffa. Pietro, a sua volta, a Giaffa, riceve una visione che lo invita ad accettare l’invito di un pagano, Cornelio.

Cornelio sarà il primo credente non ebreo, lui e la sua famiglia vivranno la prima Pentecoste sui pagani. “Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola” (v. 44).

Pietro è perplesso: come può rifiutare il Battesimo a chi ha già ricevuto l’effusione dello Spirito Santo? Può solo attuare la “legge dell’amore”, la mette al centro del suo operare.

L’incontro di Pietro con Cornelio e la sua famiglia diventa lo spazio perché lo Spirito possa nuovamente scendere e santificare una nuova situazione, una nuova famiglia pagana, la sua casa si trasforma in un nuovo cenacolo.

 

La seconda lettura la possiamo definire il compendio dell’essere cristiani. “Noi siamo figli di Dio perché nasciamo dall’amore” (v. 10).Ci ricorda la vera caratteristica di Dio, il suo vero nome: “Dio è amore” (v.8).

L’amarci gli uni gli altri si può realizzare solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Impariamo a guardare l’altro non più soltanto con i nostri occhi e con i nostri sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. “Chi non ama non ha conosciuto Dio (v. 8).

Se il rapporto con Dio manca del tutto nella nostra vita, possiamo vedere nell’altro sempre e soltanto l’altro e non riusciamo a riconoscere in lui l’immagine divina. Solo il servizio al prossimo apre i nostri occhi su quello che Dio fa per ciascuno di noi e su come Egli ci ama. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che amato noi” (v. 10). Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell’amore prevenientedi Dio che ci ha amati per primo.

 

Commento al Vangelo

 

Nelle ultime due domeniche Gesù ha parlato di sé e della sua relazione con i discepoli attraverso due immagini: “il pastore e le pecore” e “la vite e tralci” e tutto in questo vangelo sembra riportarci al senso pieno della vita che è la nostra personale relazione con Lui.

Questo è il cammino della Pasqua, alla luce della sua morte e risurrezione, le sue parole assumono un altro spessore, fino ad avvolgere tutta la nostra esistenza. Prima di lasciare i suoi, durante l’ultima cena, condivide con loro il segreto più intimoche custodisce nel cuore. La sua relazione con il Padre. Questa stessa relazione che c’è tra il Padre e il Figlio si deve verificare anche tra il Figlio e i suoi discepoli e tra i discepoli gli uni per gli altri. “Come il padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (v.9). Il Vangelo ci dà una certezza: l’amore non è un sentimento, un’emozione prodotta da me, ma è una realtà, anzi, è il nome stesso di Dio: Dio è amore. Questo rimanere nel Suo amore, è il desiderio che Gesù ha per noi.

Padre Vannucci scrisse: “Il nostro problema è che siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto”.

Solo facendo esperienza di questo amore, si è capaci di far scorrere questo dono tra di noi, senza chiuderci agli altri, ma rapportandoci con loro nello stesso modo che abbiamo visto in Gesù, superando le nostre “barriere”, fino al punto di dare la vita per gli altri. È questo il frutto che attraverso questa relazione Gesù vuole da noi. Lo scopo, il fine per cui Gesù ci rende partecipi ad entrare in questa relazione che parte dal Padre, è la gioia! “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (v.11). Non è frequente che Gesù parli dei propri sentimenti: qui parla della sua gioia. L’esperienza dell’amore è la gioia: Gesù che gusta l’amore infinito del Padre anche lì sulla croce, e sa che solo attraverso questo dono d’amore, la nostra gioia sarà piena. Il volto del cristiano è un volto gioioso, di chi gusta l’amore che crede.

Il nome nuovo dei discepoli di Gesù è “amici”: in comunione con Lui, sono in comunione tra loro. San Tommaso definiva l’amicizia come il vertice dell’amore, è la possibilità di essere vicendevolmente intimi dell’intimità che viene da Dio.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti…” (v.16). Noi siamo persone scelte, chiamate ed amate da Lui, e in Lui troviamo la nostra “identità” e che rimanendo Lui, siamo mandate per portare all’uomo di oggi l’unico frutto che conta: il suo amore. Questo brano del Vangelo ci fa entrare nella familiarità con Dio e ci “comanda” di comunicarla tra di noi.

 

Commento patristico

 

Paolo VI nel 1968 scrisse: “siamo creati per amore, siamo figli dell’amore. Nessuno può vivere senza amore. L’amore trasfigura la nostra esistenza, come il sole, senza il quale le cose non sono quello che sono. Guardavo i tuoi occhi, dice un poeta, e più azzurro mi è parso il cielo. Amore umano, amore divino. La struttura stessa della nostra esistenza è trasformata fino alle sue radici dall’amore di Colui che è passato attraverso la morte, sempre vivente, è fonte di vita. Dare al volto dell’uomo lo splendore del Cristo resuscitato.

 

Commento francescano

 

Uno dei primi eventi che accadde nella nuova forma di vitadi Chiara, è stato certamente il dono delle sorelle, come lei stessa lo definisce nel suo testamento (Cfr TestC 25 … Io, assieme alle poche sorelle che il Signore mi aveva donate e poco tempo dopo la mia conversione…). È un dono grande, ed insieme un passaggio di crescita, dall’essere “figlia” all’essere “sorella”. Il dono della fraternità richiede sempre, in un modo e nell’altro, la rinuncia a stare al centro, il mettersi da parte perché le sorelle abbiano il loro spazio e vivano in pienezza. Il dono delle sorelle è anche apertura alla novità dell’altro, alla diversità che l’altro porta con sé.

 

Orazione finale

 

O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessarioper venire in comunione con Dio Padre, per diventare con te, che sei suo Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi, per essere rigenerati dallo Spirito Santo. Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, Dio con noi, per imparare l’amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della tua carità la nostra via faticosa, fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli. Amen (Paolo VI).

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