LECTIO DIVINA – 25 Marzo 2018 – Domenica delle Palme / B

             

       

      Is 50,4-7; Sal 21 (22); Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
 

 

La Domenica delle Palme ci offre ogni anno l’occasione di meditare sulla Passione di nostro Signore Gesù Cristo seguendo il racconto di uno dei Vangeli sinottici. Quest’anno tocca all’evangelista Marco introdurci all’ingiustizia più grave che la storia abbia mai conosciuto, ma che già l’Antico Testamento aveva preannunziato: la morte del Servo sofferente, condannato nonostante la sua fedeltà a Dio. Forse, però, proprio questa è la prova – come riconoscerà alla fine il centurione – che «davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39).

 

Commento alle Letture

           

La prima Lettura della Messa di oggi (Is 50,4-7) è l’incipit di quel brano del Libro del profeta Isaia che è conosciuto come il terzo Canto del Servo sofferente. Un personaggio senza nome parla di sé come di un uomo svegliato al mattino dalla Parola di Dio, un discepolo che deve prima di tutto ascoltare per poter poi indirizzare una parola allo sfiduciato (v. 4). La sua vita è modellata interamente dal Signore: è Lui che apre il suo orecchio e gli dà una lingua.

Questo servo veterotestamentario ci insegna già a non opporre resistenza alla chiamata di Dio e neanche agli insulti degli uomini: l’aiuto del Signore può renderci più forti del dolore; docili a Lui, non rimaniamo svergognati.

 

Il brano che la Liturgia ci propone come seconda Lettura (Fil 2,6-11) è un’esortazione a conformarsi a Cristo per dare testimonianza di Lui. Sembra quasi di scoprire finalmente qui anche il nome di quel servo anonimo di cui ci parlava la prima lettura: «Dio lo esaltò e gli donò un nome che è al di sopra di ogni nome» (v.9). Si tratta di quel Gesù che «svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (v.7). Proprio di Lui ogni lingua è invitata a proclamare: «Gesù Cristo è Signore» (v.11). Il servo… è Signore.

Colui che era uguale a Dio non cessò di essere tale, quando per amore si fece uomo; così per noi: ogni volta che sarà la carità fraterna a chiederci di ‘abbassarci’ per servire, ciò non ci toglierà nulla della nostra dignità di figli di Dio. Piuttosto ci restituirà quei tratti che ci rendono simili a Lui.

 

Commento al Vangelo    

 

Il lungo brano evangelico (Mc 14,1-15,47) racconta gli ultimi gesti di Gesù. Ogni suo atteggiamento e ogni parola sono un insegnamento. Hanno un senso, ci rivelano qualcosa di Lui. Come il Servo sofferente del terzo Canto del profeta Isaia, Gesù nel racconto della Passione secondo Marco appare come incondizionatamente teso verso Dio e totalmente aperto verso gli uomini.

Nella pericope fanno comparsa diverse ‘figure a servizio del sommo sacerdote’: dall’uomo a cui nel podere del Getsemani è tagliato un orecchio, ai servi che si arrogano il diritto di schiaffeggiare Gesù, alla giovane che davanti a tutti denuncia Pietro come uno di coloro che stavano con il Nazareno. Dopo la morte di Gesù si accenna poi al servizio che a Lui avevano prestato quelle donne che ora non erano riuscite a fare altro che osservare da lontano.

Ma il vero Servo è colui che in questi due capitoli di Marco non viene mai nominato tale. È Gesù, che chiama se stesso Figlio dell’uomo ed è interrogato dal sommo sacerdote come Cristo e Figlio del Benedetto. Gli è chiesto di fare il profeta da coloro che gli sputano addosso, ma alla fine è proclamato Figlio di Dio. Lui è colui che non cerca di salvare se stesso, per dare gloria a Dio e redimere noi, dandoci anche un esempio da imitare.

 

Commento patristico

           

«Il Signore stesso che testimonianza ci ha lasciato? Mostrandoci il modello da imitare, sopportò l’onta gravissima di recare sul capo la corona di spine, subendo gli sputi, le percosse e la croce.

Se Dio, su questa terra, si è comportato a quel modo, a noi toccherà imitarlo. Se, al contrario, aspiri alla gloria umana e desideri ricevere onori ed essere rispettato e vai cercando una vita comoda, significa che hai già smarrito la strada che dovevi seguire. Occorre, infatti, che tu sia crocifisso e soffra con chi ha sofferto, per essere glorificato in unione a colui che è stato glorificato» (Pseudo-Macario, “Omelie spirituali” 12,4-5).

 

Commento francescano

           

Secondo la sensibilità che Francesco di Assisi ha acquisito pian piano, lungo il pellegrinaggio compiuto nell’interiorità del cuore, il modo in cui attraversiamo la sofferenza dice la misura del nostro servizio a Dio. Alcune parole del Poverello riportate nella “Vita Seconda” di Tommaso da Celano ci aiutano a capire in che senso:

           

«Nessuno deve ritenersi servo di Dio, sino a quando non sia passato attraverso prove e tribolazioni. La tentazione superata è, in un certo senso, l’anello con il quale il Signore sposa l’anima del suo servo. Molti si lusingano per meriti accumulati in lunghi anni, e godono di non avere mai sostenuto prove. Ma sappiamo che il Signore ha tenuto in considerazione la loro debolezza di spirito perché, ancor prima dello scontro, il solo terrore li avrebbe schiacciati. Infatti i combattimenti difficili vengono riservati solo a chi ha una vera, autentica forza d’animo» (2Cel 118: FF 704).

 

Orazione finale

 

Signore Gesù, vero Dio e Servo sofferente, aiutaci a scoprire la vicinanza del Padre negli eventi sconvolgenti che a volte l’esistenza ci offre. Per quell’Amore che ti ha ‘costretto’ a dare la vita, fa’ che anche noi rimaniamo fedeli a Dio e agli uomini.

Amen.

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