LECTIO DIVINA – 18 marzo 2018 – V Domenica di Quaresima / B

                                        

 

 

            Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33

 

In questa V Domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta un’altra sfaccettatura dell’alleanza tra Dio e l’uomo ed è quella del desiderio profondo dell’uomo di conoscere Dio, il desiderio del cuore di ‘vedere’ Gesù. “Vogliamo vedere Gesù” chiedono alcuni Greci a Filippo che si reca quindi da Gesù il quale risponde: “E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”. L’adesione alla volontà del Padre da parte di Gesù, questo accogliere la Gloria passando nella tenebra della croce, è l’atto di abbandono più libero e più umanamente pieno di angoscia di Gesù. Egli si paragona al chicco di grano che sebbene muoia, produce molto frutto.

 

Commento alle Letture

 

Nella prima lettura troviamo il profeta Geremia; è definito l’annunciatore della speranza, della ricostruzione, del futuro luminoso di Israele, della nuova alleanza che deve essere scritta nel cuore del popolo di Israele. Attraverso le quattro caratteristiche della nuova alleanza (vv. 33b- 34), cogliamo  l’esperienza dell’alleanza definitiva, promessa di misericordia e perdono.

Geremia preannuncia una conoscenza di Dio, non più attraverso la mediazione della Legge, ma attraverso l’esperienza interiore: la conoscenza di Dio entra nel cuore dell’uomo. Questa è la grande soluzione di Dio: entrare nel cuore dell’uomo, nell’interno della sua vita, di tutto il suo essere, affinché l’uomo non possa più rifiutarlo, respingerlo, allontanarlo. Dio entra nel cuore dell’uomo perché questi si apra a Lui, suscitando nell’uomo il desiderio di adesione e della fede.

           

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, Gesù offre se stesso in un contesto di preghiera filiale, divenendo così  “causa di salvezza eterna” (v. 9) per tutti gli uomini. Per la legge ebraica il sacerdozio era ereditario dalla famiglia sacerdotale, ed era un grande onore nelle categorie umane. Il sacerdozio di Cristo invece di onore, implicava già in partenza l’identificazione con la vittima e la sua gloria, la sua resurrezione passerà per la croce. E la croce spaventa Cristo stesso tanto che si rivolge  al Padre con la sua preghiera fiduciosa “offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime” e “per il suo pieno abbandono a lui venne esaudito” (v. 7). La preghiera fiduciosa significa essere convinti di aver già ricevuto ciò che chiediamo, senza aver dubbi: “per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato”(Mc 11,24) … significa pregare anche e soprattutto nei momenti di fatica, di sofferenza, significa continuare a supplicarlo anche nei momenti di aridità.

  

Commento al Vangelo

           

“Vogliamo vedere Gesù” (v. 21b). L’invito che ci viene dal brano del Vangelo di Giovanni, è di vivere l’esperienza di quei Greci che erano saliti al tempio durante la festa: poteva essere soltanto una “normale” osservanza di culto, invece diventa per loro occasione di un incontro decisivo. E noi, che ascoltiamo oggi questo Vangelo, non possiamo non sentire questo desiderio di vedere Gesù. Anche per noi si mette in movimento la catena di coloro che ci conducono a Lui, ma poi il cammino si ferma, siamo di fronte a Lui, lo “vediamo”, ma Lui ci spiazza, Lui ci parla, ci conduce dentro la sua e nostra vita intima, dove è possibile vedere chi Lui è veramente.

Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (v.24). Il vero volto, la verità del chicco consiste nella sua storia breve e splendida. Quando leggiamo superficialmente questo versetto, la nostra attenzione è subito attratta dal verbo “morire”, ma l’accento logico e grammaticale cade invece su due altri verbi: rimanere e produrre molto frutto. Il senso della vita del Signore Gesù, e quindi anche il nostro, si gioca sulla fecondità, sul frutto. E’ la vita vissuta in pienezza che dà gloria a Dio, non il morire.

Il germe che nasce dalla morte del chicco altro  non è che la parte più profonda, intima, il DNA del seme, non uno che si sacrifica per l’altro, ma l’uno che si trasforma nell’altro. Chicco e germe è un’unica entità, ma il germe è una forma più piena ed evoluta vissuta e trasformata sotto la logica pasquale. Ed è in questa logica pasquale che la pericope evangelica continua con la preghiera del Signore rivolta al Padre; e il Padre parla e dice: “l’ho glorificato e lo glorificherò ancora” (v.28b)

L’adesione alla volontà del Padre da parte di Gesù, questo accogliere la Gloria passando nella tenebra della croce, è l’atto di abbandono più libero e più umanamente pieno di angoscia di Gesù. Karl Rahner diceva: “ per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della croce”. Dio entra nella morte perché è nella morte che finisce ogni uomo. Ma dalla morte, risorge, come un germe nuovo, e da esso ogni uomo viene alla luce, con sé. Gesù è il chicco di grano, che muore e fiorisce, una croce, dove già ci fa respirare la risurrezione e che ci attira a sé. La nostra fede sta proprio in questa contemplazione del volto di Dio Crocifisso e Risorto.

 

Commento patristico

 

San Cirillo d’Alessandria scriveva in un suo commento: “il genere umano può essere paragonato al grano nel campo: nascendo dalla terra, in attesa della sua conveniente crescita è strappato via via dalla morte lungo il corso del tempo… Cristo stesso si definisce un grano di frumento: “ se il chicco di grano…” (v.24) perciò egli si è fatto davanti al Padre come un anatema, o come qualcosa di consacrato e immolato per noi, simile a un manipolo di spighe, primizie della terra. Un’unica spiga, ma considerata non sola, bensì unita a tutti noi, che, come un manipolo formato da molte spighe, siamo un solo fascio.”

 

Commento francescano

 

Chiara aveva intuito e viveva questa logica pasquale a tal punto che per lei è abbracciando la povertà, sposa di Cristo, che si sposa Cristo. Ciò che ci riconcilia a Dio è il servizio al Crocifisso povero che sostenne il supplizio della croce. Chiara fa esperienza del mistero della redenzione come un mistero di scambio. Cristo discende fino a noi (chicco nella terra), abbracciò la povertà e sostenne la passione per noi, (morte del seme) innalzandoci al regno (la vita in Lui).

Il mezzo di questo divino scambio è la povertà che Chiara celebra: “O beata povertà, che procura ricchezze eterne a chi l’ama e abbraccia. O santa povertà a chi la possiede e la desidera è promesso da dio il regno dei cieli ed è senza dubbio concessa gloria eterna e vita beata. O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, il quale disse e tutto fu creato, si degnò più di ogni altro di abbracciare” (FF 2864).

 

Preghiera finale

 

Anche noi ti vogliamo vedere, Gesù, in quest’ora in cui, come seme, affondi nella terra del nostro dolore e germogli in turgida spiga, speranza di messe abbondante. Tu sveli come è dolce morire  per chi ama e si dona con gioia. Perdere la vita con te e per te è trovarla. Allora anche il pianto fiorisce in sorriso. Nelle tue piaghe troviamo rifugio e in esse trova senso ogni umano patire. Solo guardando te, troviamo la forza di un abbandono fidente nelle mani paterne di Dio. Purifica gli occhi del nostro cuore fino a che, non come in uno specchio né in maniera confusa ma in un eterno e amoroso faccia a faccia, ti vedremo così come tu sei. Amen.

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