LECTIO DIVINA – 21 Gennaio 2018 – III Domenica T.O. / B

             

  

          Gio 3,1-5.10; Sal 24; 1 Cor 7,29-31; Mc 1,14-20

 

 

Giovanni Battista è il “leone” (animale simbolo del Vangelo di Marco) che apre, con il grido accorato alla conversione, la strada al Figlio di Dio. Giovanni è la voce, Gesù è la luce, attributo particolare dell’occhio: il Suo sguardo illumina tutto l’uomo, lo ama e ne fa qualcosa di nuovo.

Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni da “pescatori” divengono “pescatori di uomini”: noi chi possiamo diventare sotto lo sguardo amorevole e liberante di Cristo? Non è vivendo “sotto i suoi occhi” che possiamo sottrarci al magnetismo ingannevole di altri sguardi che ogni giorno condizionano il nostro modo di pensare, di vestire, di parlare, di amare, di educare, rimpicciolendo la nostra umanità?

 

Commento alle Letture

La conversione è “un’inversione a U” sulla strada della vita: scegliere gli “idoli” significa andare verso la morte interiore, scegliere il Signore è scegliere la vita. Per questo Jahvè, per bocca del profeta Giona, grida ai pagani di Ninive di cambiare rotta per non lasciarsi distruggere dal male. “Io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva” (Ez 33,11): Dio offre a Ninive quaranta giorni, un tempo “pieno” simboleggiato dal numero “40”,  per comprendere il proprio male e dirigersi verso il bene. Se il cuore è aperto alla verità di sé, come accadde per i niniviti e il loro sovrano (e persino per gli animali della città!), l’esistenza cambia radicalmente.

 

Sotto lo sguardo di Dio comprendiamo che nulla ci appartiene, di nulla ci possiamo appropriare: la relazione con Lui spiana un orizzonte nuovo negli angusti spazi nei quali spesso ci costringiamo a vivere. Né la gioia né il pianto, né le relazioni più intense, né tanto meno l’acquisto e il possesso di beni materiali possono “strozzare” le nostre giornate: Paolo desidera per i cristiani di Corinto un respiro di vita più ampio, che solo il primato di Dio può dare. Più avanti l’Apostolo dirà: “Voi siete stati comprati a prezzo, non diventate schiavi degli uomini” (1Cor 7,23) cioè di voi stessi e del pensiero mondano dominante.

 

Commento al Vangelo

Quattro pescatori galilei diventano “pescatori di uomini”: scopriremo, leggendo i Vangeli, che sono diversi fra loro, a volte in competizione, altre incapaci di comprendere il messaggio di Gesù. Eppure, sulle rive del mare di Galilea, Gesù sceglie loro perché imparino a navigare sui mali del mondo (il “mare”), ad attraversare le notti dell’uomo (la pesca era attività notturna) e a salvarlo dalle profondità dell’angoscia, della disperazione.

Lo sguardo di Gesù li mette a nudo senza farli vergognare: lo stesso male che dovranno sanare in altri è presente anche in loro! Più ci si guarda con gli occhi di Dio, più si diventa fonte di guarigione e di libertà per altri. La propria sicurezza non poggia più su ciò che si fa o che si sa fare, sulle posizioni conquistate, su una certa agiatezza frutto di lavoro, di impegno: il vero appoggio sta in un Dio che ama l’uomo e ne realizza compiutamente tutte le potenzialità.

Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni avvertono tutta la potenza racchiusa in quello sguardo, in quella voce, in quella enigmatica promessa (“vi farò pescatori di uomini”) e non resistono: abbandonano lavoro e famiglia. La stessa radicalità, come si può notare facendo passare tutte le singole persone che Gesù incrocia nella sua predicazione, non è richiesta a tutti: il riconoscimento della presenza di Dio e della costruzione del Suo Regno qui e ora, sì.

Il Vangelo di Marco e il brano scelto di oggi sono scanditi dall’avverbio “subito”: l’urgenza che Gesù ha di portarci alla salvezza è pressante, l’amore di Dio si è fatto incontenibile e il Suo desiderio che l’uomo lo accolga non può più attendere. Per questo tutte le letture di oggi sono accomunate dal tema del “tempo”, di quello che in greco si dice “kairos”: si tratta del “momento opportuno”, del “tempo compiuto” (Mc 1,15) che per noi cristiani è quello della presenza di Dio in mezzo a noi nella persona di Cristo. Affrettiamoci ad accoglierlo, a lasciarlo entrare nei ritmi frenetici e abitudinari del nostro “tempo cronologico”.

 

Commento francescano

La parola “povertà” è sinonimo per noi di “caduta in disgrazia”, di un “abbassamento del tenore di vita” che comporta una serie di rinunce e di umiliazioni. La spiritualità scaturita dall’esperienza del francescanesimo aiuta a ridare valore al significato di una vita “povera” in un mondo che aspira a essere benestante se non addirittura opulento.

Il modo di vivere la povertà si condensa in san Francesco (RnB, FF 4) e in santa Chiara (RsC, FF 2750) nell’espressione “senza nulla di proprio”: nulla si può dire più “mio” perché tutto appartiene a Dio. Si diventa “poveri” quando si abbandonano pensieri e desideri dell’io per lasciar entrare pensieri e desideri di Dio su di noi. Questa è l’espropriazione autentica, che passa anche, come conseguenza, per la povertà materiale: quest’ultima, anziché rappresentare una terribile disgrazia, diventa fonte di maggiore libertà, motivo per ridare valore a ciò che conta veramente.

 

Preghiera finale

O Dio, fonte di vita e di amore, aiutaci a non fuggire il Tuo sguardo per correre ad aggrapparci a sicurezze destinate a svanire; richiamaci quando scegliamo di percorrere strade che non conducono a Te; accompagnaci quando altri cercano in noi aiuto e amore. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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